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Per chi suona la campana

Caro "Zorro", in cielo gli orari non ci sono...

Sembra che il compianto, insieme ad altre pie donne, usasse recitare con loro  quotidianamente e submissa voce il Rosario

Caro "Zorro", in cielo gli orari non ci sono...

Ci è giunta l’eco di qualche malumore in merito – siamo nel mese di ottobre! – alla recita del Rosario nel duomo di Chivasso. Se ne è fatto interprete con un suo scritto, poco prima di mancare repentinamente e  prematuramente-   ed è per questo che ne facciamo un cenno – il dott. Ferruccio Bogetti, noto professionista chivassese. 

Ferruccio Bogetti

Sembra che il compianto, insieme ad altre pie donne, usasse recitare con loro  quotidianamente e submissa voce il Rosario nella  cappella della Madonna di Lourdes. Improvvisamente, un bel giorno, il prevosto li avrebbe invitati  a cessare la  pia pratica in quanto perturbatrice del raccoglimento o della preghiera degli altri fedeli presenti in chiesa. Successivamente, lo stesso Bogetti sarebbe stato ripreso personalmente dall’inflessibile levita, alla presenza del suo «consigliori», monsignor Lorenzo Santa,  intimandogli  di non guidare più il Rosario quando i fedeli siano più di quattro i quali, se vogliono,  possono partecipare  ai due rosari comunitari e non ad altri.

Il povero Bogetti, tra varie altre considerazioni, si pone una domanda relativa alle sue compagne di devozione: «Non capisco perché debba andare bene tutta questa pletora di lettrici, accolite, chierichette, elemosiniere, donne di pulizia, ma non per recitare il rosario». Sembra poi che già in passato, durante i lavori di ristrutturazione della Confraternita di S. Giovanni, il Rosario fosse  stato vietato allo stesso modo.   

Sarà andata così?

Bisognerebbe sentire anche l’altra campana. Forse ci direbbe che con la recita del Rosario,  al di fuori degli orari prescritti, le pie donne  corrono il rischio di rompere l’ ecclesiologia di comunione - grande conquista  del Concilio - e che gli è tanto cara.  Una cosa sola però è certa. Il  dottor Bogetti se n’è andato in Cielo, «in più spirabil aere...» . 

Lassù, nel Lumen gloriae, nessuno lo interromperà nella preghiera e nemmeno gli indicherà gli orari durante i quali rivolgere a Dio e alla Vergine quella  lode perenne per cui siamo stati creati. Ma se anche fosse finito in Purgatorio – speriamo di no e suffraghiamo la sua anima - succederebbe lo stesso. 

Don Milani, nel centenario

Si è tornati  a celebrare acriticamente – nel centenario della nascita - uno dei mostri sacri e degli infrangibili miti della contestazione. 

Ci riferiamo a don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, ma  forse ancor di più ad essere celebrato è il  «donmilanismo», quell’«idealismo generoso» che nella scuola non premia i meriti e le capacità, non educa, non stimola alla cultura.  Qualche spiraglio di demitizzazione inizia comunque ad intravedersi e  recentemente Adolfo Scotto di Luzio, professore di pedagogia all’Università di Firenze,  ha pubblicato da Einaudi il saggio dall’eloquente titolo, «L’equivoco don Milani».

Il libro  ha  reso evidente come sia improcrastinabile una rilettura critica della figura del  prete fiorentino e della sua pedagogia,  diventati un «elemento costitutivo» dell’alleanza culturale tra gli eredi di del Pci e il cattolicesimo progressista.

Non si tratta di non vedere nel priore di Barbiana una sua grandezza e una notevole caratura morale ma di considerane i limiti per il quali l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, affermò che fin che ci sarà lui non si avrà nessun processo di beatificazione perché non crede alla santità di don Lorenzo. Il punto però non è la santità ma la liberazione della sua figura  dall’agiografia. Vediamone alcuni aspetti.  

Per don Milani «senza eguaglianza non c’è emerito», ma è vero anche il contrario, ovvero senza merito non c’è uguaglianza e se le differenze economiche non devono costituire un ostacolo per i meno abbienti, le differenze di attitudine e di impegno restano tutte. Come nota lo studioso: «La scuola che ha smesso di bocciare – anche a causa diciamo noi del «donmilanismo» – ma non ha smesso di selezionare».

Il libro poi fa a pezzi l’antiautoritarismo di don Milani riprovando  i suoi metodi e la sua pedagogia, per non parlare della scurrilità e della volgarità che è presente nei suoi scritti. 

A Barbiana la grammatica era considerata cosa dei ricchi e delle elite, ma è proprio la grammatica che «abilita a parlare pensatamente» e lo scrivere bene, detestato dal prete, «non è un mero esercizio retorico o di stile. E’ applicazione della mente, disciplina intellettuale».

La lettura donmilanesca della scuola  è dualistica e manichea,  ricchi e borghesi contro poveri e contadini, la ricreazione vi era bandita, così come il priore «odiava il pallone, le partite di calcio, il tifo, ma anche i bar parrocchiali».

Siamo ben lontani dall’equilibrio di educatori come Muratori, Rosmini, don Bosco o Maria Montessori e persino l’autore – laico e razionalista – deve ammettere che non aveva torto il cardinale Florit quando rimproverava  don Lorenzo  – malgrado il suo pauperismo - di essere «più liberale che cattolico».

Oggi di Barbiana e di quell’esperienza non resta più nulla, se non la decadenza della scuola italiana e l’eclissi dell’autorità morale del docente.     

* Frà Martino

Chi è Fra Martino? Un parroco? Un esperto di chiesa? Uno che origlia? Uno che si diverte è basta? Che si tratti di uno pseudonimo è chiaro, così com’è chiaro che ha deciso di fare suonare le campane tutte le domeniche... Ci racconterà di vescovi, preti e cardinali fin dentro ai loro più reconditi segreti. E sarà una messa non certo una santa messa, Amen

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