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Punto Rosso
07 Novembre 2023 - 15:22
Call center
Dopo l’Inps, che ha fatto spallucce alla clausola sociale quando ha riacquisito il servizio di call center da Comdata (lasciando senza lavoro 60 operatori), anche Digid Group, che subentra a Comdata nella commessa Aria, società in house della Regione Lombardia, dice ciao-ciao ai 35 lavoratori coinvolti, 25 dei quali di Ivrea.
La vicenda è storia già vista nel mondo selvaggio dei call center: un’azienda perde il bando per il rinnovo di una commessa e quella che lo vince può tranquillamente non applicare la clausola sociale, cioè assumere i lavoratori che già lavorano su quella commessa. Una pratica diffusa nonostante la clausola sociale sia non solo prevista dal contratto nazionale di lavoro delle Telecomunicazioni, ma anche un obbligo di legge sancito dall’articolo 1, comma 10, della legge 11/2016 che stabilisce che in caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente, il rapporto di lavoro continua con l’appaltatore subentrante. Una delle tante leggi disattese in questo nostro paese che ha il lavoro nel primo articolo della Costituzione, ma i lavoratori all’ultimo posto nei pensieri dei governanti degli ultimi decenni.
Anche questa volta, come da prassi, sono stati attivati i tavoli per definire gli accordi per il passaggio dei dipendenti. E all’inizio sembrava di assistere a un film diverso, infatti in un primo momento Digid aveva dato “ampie rassicurazioni sull’assunzione di tutti i lavoratori coinvolti, a parità di condizioni economiche e normative”.
Però nell’incontro successivo, il 31 ottobre, Digid ha pensato di presentarsi mandando invece una secca comunicazione a Comdata dove informa “di aver valutato non economicamente vantaggioso rilevare i lavoratori operanti sulla commessa.”
E ci risiamo, il lavoro costa troppo. Ma come è possibile se l’Italia è l’unico paese europeo in cui i salari hanno perso potere di acquisto in 30 anni: -2,9 % contro gli aumenti in tutta Europa: Francia +31,1 - Germania +33,7% - Spagna +6,2% (per citare i paesi più paragonabili al nostro). Come è possibile se l’Italia è fra i pochi paesi europei senza un salario minimo legale?
Due sono le risposte, solo all’apparenza semplicistiche: 1) i committenti puntano sempre al massimo ribasso 2) le aziende che vincono i bandi puntano per contro al massimo profitto.
E non possiamo non pensare che, accanto alla preoccupazione per il lavoro, gli operatori coinvolti avranno trovato insopportabile quel “non è economicamente vantaggioso”. Come se si parlasse del rinnovo di un contratto elettrico o telefonico e non di persone, lavoratrici e lavoratori destinati ad una vita precaria per la totale libertà lasciata al mercato, mentre svaniscono ad uno ad uno tutti i diritti del lavoro.
E in questo contesto, non si può tacere della inadeguatezza della reazione delle forze sindacali, che hanno sì proclamato uno sciopero di due giorni il 6 e 7 novembre, ma solo per le lavoratrici e i lavoratori operanti sulla commessa Aria.
Come se la questione non riguardasse tutti gli operatori del call center Comdata, nessuno escluso. Lavoratori che magari oggi non sono colpiti, ma che certo potrebbero avere uguale sorte nel futuro. Come solo qualche mese fa è toccato ai 60 lavoratori dell’ex commessa Inps che sono ancora in cassa integrazione (solo due ricollocati e nove messi sulla commessa in scadenza Aria …).
E infine, dopo anni di colpevole silenzio dell’amministrazione comunale sui temi del lavoro, vorremmo ora sentire forte quella voce. Vorremmo veder riattivati strumenti che in anni passati hanno fatto sentire l’amministrazione comunale con il suo “Ufficio Politiche del Lavoro” concretamente vicina ai lavoratori. E ci vuole un “Patto per il lavoro e lo sviluppo”, come proponevamo come Unione Popolare nel nostro programma alle amministrative della primavera scorsa.
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