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Strage di Brandizzo. Più di un chilometro: era questa la distanza necessaria per frenare ed evitare la tragedia

L'analisi della scatola nera assolve i macchinisti del treno diretto che la notte del 30 agosto correva a 160 chilometri orari e aveva semaforo verde

Strage di Brandizzo. Più di un chilometro: era questa la distanza necessaria per frenare ed evitare la tragedia

L'analisi della scatola nera del treno che ha travolto e ucciso cinque operai a Brandizzo la notte dello scorso 30 agosto, assolve i due macchinisti.

Quella sera il convoglio era lanciato ai 160 chilometri orari lungo quei binari che portano a Torino e tutti i semafori erano verdi.

Via libera, dunque. Nessun pericolo. Tutte condizioni che rendevano legittima quella velocità.

Per frenare, fermare la corsa e salvare la vita agli ignari operi, occorreva più di un chilometro. Milletrecento metri. Ecco, quei milletrecento metri erano la distanza necessaria a tracciare quel confine così sottile tra vita e morte, quella tragica notte.

Invece, le sagome degli operai sono apparse all'improvviso nei coni di luce dei fari del treno.

Il macchinista ha fatto di tutto. Il possibile e forse anche l'impossibile. Lo dimostrano i segni di frenata lasciati sui binari e riscontrati dalla Polfer nei giorni immediatamente successivi alla strage. Ma ci sono volte in cui neppure l'impossibile è sufficiente.

E' quanto emerge dall'analisi della scatola nera disposta dalla Procura di Ivrea nel corso delle indagini per la strage del 30 di agosto.

"Il treno, quando lo senti, ce l'hai già addosso" lo ripetono come un mantra tutti i ferrovieri. 

Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Aversa e Saverio Giuseppe Lombardo quando hanno sentito il treno, se lo sono ritrovati addosso. Impossibili scansarsi quando ad arrivare è un convoglio lanciato a tutta velocità.

Le cinque vittime della strage

Perché fossero lì, perché stessero già lavorando per sostituire quel binario, sarà la magistratura ad accertarlo.

La Procura di Ivrea ha iscritto, per ora, sei persone nel registro degli indagati. Tra queste, i due macchinisti non ci sono mai state. non sono mai neppure stati iscritti nel registro degli indagati.

Oltre al tecnico di Rfi, Antonio Massa, 48 anni, e il caposquadra della Sigifer, Andrea Girardin Gibin, 53 anni, sono stati iscritti anche 4 dirigenti della Sigifer, l'azienda di Borgo Vercelli per cui lavoravano le vittime.

Indagini a tappeto fino a Roma

I magistrati, nei giorni scorsi, hanno ordinato lo svolgimento di controlli sui telefonini reperiti a una dozzina di persone tra Bologna e Roma con la formula delle "acquisizioni presso terzi".

Non ci sono dunque nuove iscrizioni nel registro degli indagati.

Sotto la lente d'ingrandimento della Procura starebbero passando le comunicazioni via whatsapp di dirigenti e dipendenti della ditta Clf di Bologna e della Salcef di Roma, per accertare la catena dei subappalti.

Tra Rfi e Sigifer, insomma, potrebbero esserci degli anelli di congiunzione e, analizzando le comunicazioni passate sugli smartphone si tenterà di ricostruire la catena

Parallelamente, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia della Camera, presieduta dall'onorevole Chiara Gribaudo del Pd,  ha avviato le sue indagini. Nei giorni scorsi sono stati sentiti i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl dei sindacati di categoria del settore dei trasporti.

L'ONOREVOLE CHIARA GRIBAUDO

La parlamentare piemontese è stata tra le prime autorità a raggiungere Brandizzo il giorno dopo la strage. Era presente anche quando la segretaria del Pd Elly Schlein è venuta a portare il cordoglio del suo partito, e quando si è tenuta la marcia in memoria dei cinque operai morti quella tragica notte, marcia terminata con un consiglio comunale aperto cui ha assistito anche l'onorevole Gribaudo al fianco di sindaci e consiglieri regionali.

Le indagini della Commissione Parlamentare d'Inchiesta correranno di pari passo con quelle della Magistratura ordinaria.

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