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La provocazione

Agli amici del PD. Non usiamo il "salario e il Lavoro" come slogan...

Franco Giorgio di Ivrea interviene nel dibattito

Agli amici del PD. Non usiamo il "salario e il Lavoro" come slogan...

IVREA. Questo sabato, come nei sabati passati e come Unione Popolare, abbiamo allestito il nostro banchetto per la raccolta firme a favore della proposta di legge su iniziativa popolare per il salario minimo. Abbiamo incontrato molte persone e molte erano le domande ma anche la tanta confusione determinata dalla scelta del Partito Democratico di lanciare una campagna online sempre sullo stesso argomento. Naturalmente le differenze tra la nostra proposta di legge e la loro iniziativa sono molteplici e non solo riferite all’importo orario proposto, ma in particolare ai meccanismi di rivalutazione annua dei salari e al fatto non sottovalutabile che l’aumento di salario debba essere tutto a carico del datore di lavoro. Non è questa una questione di lana caprina la proposta del PD oltre a sganciare il salario dall’aumento del costo della vita propone che il costo dell’operazione sia in parte a carico del padronato e in parte a carico degli stessi lavoratori/cittadini… 

Qualcuno potrebbe dire... meglio che niente, io personalmente mi chiedo il perché il Partito Democratico anziché sostenere la raccolta firme sulla legge di iniziativa popolare proposta da Unione Popolare sia andato avanti con una sua proposta al ribasso. Ci credono davvero? E’ forse solo Campagna elettorale? Il PD è davvero cambiato visto che in anni di governo non ci ha mai pensato? 

Oggi la neo segretaria del PD riscopre anche la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario…… Meglio tardi che mai mi verrebbe da dire…..  

Perché il Partito Democratico anziché sostenere la raccolta firme sulla legge di iniziativa popolare proposta da Unione Popolare sia andato avanti con una sua proposta al ribasso...

Sta di fatto che dopo oltre trent’anni dalla fine del PCI e dopo quindici anni dalla nascita del PD, i riformisti di sinistra, gli ex sostenitori dell’alternanza tra centrosinistra e centrodestra, oppure della necessità delle riforme condivise per migliorare la via italiana al neoliberismo, si accorgono che forse, probabilmente, il sindacalismo tedesco, la politica stessa della repubblica federale che si avvia alla sperimentazione della settimana lavorativa su quattro giorni, su una sempre maggiore richiesta di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, non sono dei romantici utopisti, ma soggetti che guardano alla concretezza della crisi strutturale. 

Ed ecco che dopo oltre trent’anni, coloro che archiviarono l’esperienza del più grande partito comunista occidentale arrivano a supporre, e quindi anche a sostenere, che è giunto il momento di valutare quella riduzione dell’orario di lavoro. 

Dopo trent’anni, dall’eredità sempre più irriconoscibile di quel PCI che divenne PDS prima, DS poi e infine ciò che non ne rimase terminò nel PD veltroniano, viene fuori la proposta, per convinta affermazione della segretaria Elly Schlein, di adottare anche in Italia la sperimentazione di una settimana lavorativa fatta di quattro giorni, redistribuendo le ore di lavoro, per applicare la formula del 100 – 80 – 100: il 100% di salario, l’80% di orario, il 100% di produttività. 

Encomiabile che da parte della dirigenza del PD cadano finalmente tutti (o quasi) i tabù nei confronti di una riforma del mondo del lavoro che, questa sì, vorrebbe dire avanzare verso un miglioramento tanto dello stile di vita delle persone, della qualità del loro tempo, del minore impatto anche eco-sociale su un ambiente in cui la produzione di merci incide davvero pesantemente. 

Tuttavia andrebbe spiegato, da parte di Elly Schlein il punto contraddittorio tra la proposta di un salario minino a 9 euro l’ora, sganciato dall’aumento del costo della vita, in parte a carico del padronato e in parte a carico degli stessi lavoratori/cittadini… 

Ridurre l’orario di lavoro a parità di un salario che si vorrebbe far pesare parzialmente anche sulla forza-lavoro medesima, è un cortocircuito che va spezzato; perché altrimenti viene da pensare che il riformismo italiano non abbia del tutto chiaro il funzionamento tanto della micro quanto della macroeconomia e, nell’insieme, dei rapporti che intercorrono tra capitale e lavoro oggi. 

Se una proposta di estensione anche in Italia delle riforme tedesche a favore della classe lavoratrice, magari come proposta che può diventare europea, continentale e, quindi, iniziare ad unire il fronte dell’opposizione al liberismo sfrenato di questi decenni tanto al di là quanto al di qua dell’Atlantico, ha un senso propriamente detto e concretamente tale, può averlo se il salario è il vero costo della mano d’opera, la contropartita degli sforzi di chi lavora, di chi è, per meglio dire, sfruttato. 

Il salario minimo deve, quindi, essere pagato dagli imprenditori e non essere finanziato dalle casse pubbliche. La produzione, del resto, è privata, va ad arricchire l’economia nazionale con tassazioni che sono inadeguate rispetto agli  ingenti profitti generati dallo sfruttamento del tempo di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Sia che si tratti di lavori intellettivi, sia che si tratti di manovalanza, il lavoro di oggi è ampiamente incastonato nella logica della precarietà e della mobilità insostenibile in una fase di crisi economica che è anche crisi socio-ambientale. 

Per questo, va bene parlare di settimana corta, di riduzione dei tempi di ciascuno per un inserimento nel processo economico-sociale di una larga parte del crescente numero di disoccupati, di inoccupati e di senza lavoro un po’ da sempre. Ma il rischio peggiore è che il tutto passi per una boutade, per un controcanto all’azione di governo. 

Sarebbe davvero bello per un uomo di sinistra come il sottoscritto vedere che il PD, i Cinquestelle, Sinistra italiana, Verdi e Unione popolare si sedessero ad un tavolo comune per portare avanti una piattaforma unitaria.

Sarebbe davvero bello per un uomo di sinistra come il sottoscritto vedere che il PD, i Cinquestelle, Sinistra italiana, Verdi e Unione popolare si sedessero ad un tavolo comune per portare avanti una piattaforma unitaria che dia, tanto al mondo del lavoro, quanto a quello della scuola, del pensionamento, della precarietà e della disoccupazione, del disagio sociale diffuso, una risposta articolata e sintetica al tempo stesso che si fondi anzitutto proprio sulla riduzione dei tempi di impiego, su una differente concezione dell’esistenza oggi, nell’epoca in cui il capitalismo prova una seconda rivincita sulle masse che continua a sfruttare. 

Purtroppo vedendo come il PD si sia mosso sul salario minimo, senza neanche prendere in considerazione una iniziativa, quella di Unione Popolare che era già avviata e sulla quale era già partita la raccolta delle firme mi fa essere molto poco ottimista. 

Amici del PD, la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali a parità di salario, l’introduzione di un salario minimo sociale di 10 euro l’ora pagato interamente dagli imprenditori e legato all’aumento del costo della vita, quindi recuperandone il potere di acquisto relativamente all’indice inflazionistico, sono, insieme alla lotta contro la particolarizzazione delle ricchezze regionali e la divisione localistica delle povertà con il progetto di autonomia differenziata di Calderoli, il cardine di una lotta per la riemersione di una coscienza progressista diffusa dove la parola sinistra avrebbe ancora un senso. 

Amici del PD, dei 5 stelle di Sinistra Italiana... Non si tratta di rivendicare oggi primogeniture su proposte che, tuttavia, con trent’anni di anticipo rispetto all’odiernità, erano state messe sul tappeto per essere accolte da un centrosinistra che, come nella sua natura, guardava economicamente al centro e che forse per questa ragione non le ha fatte mai proprie. Ciò che è stato fa parte di una politica del passato che è superata nei fatti da una globalizzazione in crisi, eppure capace di ristrutturarsi e di riadeguarsi alla crescente competizione tra i grandi blocchi, tra le nuove vaste aree del pianeta in cui i salariati aumentano solo laddove aumenta lo sfruttamento becero della forza lavoro. 

Se quelle di Elly Schlein non sono solo parole, ma vogliono essere un cambiamento davvero importante per una forza che diventa di sinistra riformista dopo essere stata a lungo di centrosinistra, liberale e con marcati tratti di condivisione delle compatibilità del mercato, allora forse è possibile parlarsi, è possibile arrivare ad un reciproco scambio di progetti e di programmi partendo da una seria e umile decisa autocritica. 

GIORGIO FRANCO

 

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