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Punto Rosso

Un amaro record: 80 settimane di presidio per la Pace a Ivrea

Ogni sabato alle 11 in piazza Balla per dire "Fuori la guerra dalla storia"

Un amaro record: 80 settimane di presidio per la Pace a Ivrea

Ottanta settimane di guerra in Ucraina, 80 sabati che a Ivrea un gruppo, in continua crescita, di pacifisti e pacifiste di diversa estrazione si trovano davanti al Municipio per chiedere Pace e Disarmo. Il primo presidio sabato 26 febbraio 2022, a due giorni dall’entrata delle forze armate russe in Ucraina, il numero 80 sabato 26 agosto, in mezzo non abbiamo smesso di incontrarci per denunciare gli orrori delle guerre, ma anche per non sentirci soli. Ogni sabato leggiamo pezzi di storia, letteratura, poesia, testimonianze, interventi, cerchiamo di capire insieme il perché del perpetrarsi nel terzo millennio di uno dei più grandi orrori dell’umanità: la guerra.

 

E guerra non è solo quella nel suo significato più immediato, guerra è anche far morire migliaia di migliaia di uomini, donne e bambini nel nostro Mediterraneo, guerra è anche occupazione e colonialismo, apartheid, come ricordiamo sempre nei nostri presidi.

Il presidio per la Pace di Ivrea è nato come atto spontaneo e con l’impegno di andare avanti fino al cessate il fuoco. Avevamo maggiore fiducia, al principio, nella mobilitazione e nell’impegno del nostro paese e dell’Europa affinché entrassero in campo le mediazioni diplomatiche, e invece ci siamo scontrati con una realtà diversa: l’Italia, l’Europa, trascinate dalla Nato, hanno iniziato ad inviare armi come unica via per la ricerca della risoluzione del conflitto.

L’articolo 11 della nostra Costituzione che afferma che “L’Italia ripudia la guerra (…) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, è stato calpestato. E’ stato come dare un calcio in faccia ai padri e alle madri costituenti che avendo vissuto la guerra hanno voluto quell’articolo. 

E ancora oggi, ad un anno e mezzo dall’inizio della guerra, con una stima di 500.000 vittime, ancora si continua a considerare come unica soluzione l’invio di armi. Il fatto è che “la guerra conviene”. Conviene all’enorme mercato delle armi, conviene a chi si occupa di ricostruzione, conviene a chi raccoglie i profitti della speculazione dell’aumento del costo della vita cinicamente giustificato con l’ultima guerra in atto. 

Gettiamo uno sguardo agli eventi degli ultimi quindici anni dello sviluppo internazionale. Dov’è che essi mostrano una qualsiasi tendenza verso la pace, verso il disarmo, verso la soluzione dei conflitti mediante l’applicazione del diritto internazionale?”, E’ una frase detta al presidio? No, è quanto scriveva Rosa Luxemburg all’inizio del secolo scorso.

Siamo a dirci le stesse cose a 100 anni di distanza e con due guerre mondiali sulle spalle. Perciò se non nasce accanto alla richiesta di Pace una critica profonda al sistema che si alimenta anche di guerra, il capitalismo, o meglio dire oggi il finanzcapitalismo come lo definì Luciano Gallino, nulla cambierà. Quel sistema che oggi vuole convincere che solo facendo arrivare armi in una guerra avremo la pace.

E ne sono convinti in tanti, inclusi i parlamentari europei che in piena estate hanno approvato il regolamento ASAP (Atto di Supporto alla Produzione di Munizioni) che permette agli Stati membri di spostare risorse dai fondi destinati ai servizi pubblici alla produzione di armi (hanno votato contro solo 56 europarlamentari, fra questi il gruppo The Left). Un pericoloso precedente.

Per poter intravvedere i colori dell’arcobaleno in Ucraina, ma anche nelle altre guerre e conflitti che affliggono il mondo, dobbiamo quindi affiancare alle nostre manifestazioni in piazza per la Pace e contro la crescita delle spese militari, una decisa critica e opposizione al sistema che si ciba (anche) di guerre.

E possiamo farlo ad iniziare anche dalla nostra piccola comunità per la Pace che si ritrova ogni sabato alle 11 in piazza Balla per arrivare poi davanti al Municipio percorrendo via Palestro con le bandiere della Pace e i cartelli, uno dice “Fuori la guerra dalla storia”, una frase della partigiana Lidia Menapace.

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