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Ivrea
16 Luglio 2023 - 09:28
Monsignor Luigi Bettazzi
Arrivò a Ivrea a bordo di una Seicento, fumando un sigaro toscano e dando del “tu” a tutti.
Fu subito chiaro che i ritmi sarebbero cambiati.
Le prime auto del vescovo? Oltra alla “600”, una “500” e una “850”. Non ebbero vita lunga, nonostante la buona volontà dei meccanici per le continue visite alle parrocchie.
Ciò che ha sempre colpito tutti è stata la sua vicinanza ai preti ammalati e anziani – 50 anni fa a Ivrea erano più di 300 – e la vicinanza a quanti vivevano in casa con i loro, genitori e familiari. Abituati alla visita del vescovo ogni cinque anni, quando un parroco della Valchiusella disse al vecchio papà ammalato che era venuto il vescovo a salutarlo, la reazione fu: “Diavolo! Non è possibile”, in dialetto stretto.
Bettazzi rispose “Tranquillo, non sono il diavolo”, anche questa in dialetto, un po’ meno stretto.
Lo chiamavano il «vescovo rosso» per il suo impegno a favore dei lavoratori (non solo quelli dell’Olivetti o della Lancia) e per la sua disponibilità al dialogo con la sinistra.
Luigi Bettazzi, però, sempre preferì il titolo di «vescovo un po’ laico» al punto da sceglierlo come sottotitolo delle sue memorie (In dialogo con i lontani. Memorie e riflessioni di un vescovo un po’ laico).
Per tutta la sua vita Bettazzi è stato questo, grande acrobata nella spazio in cui la Chiesa dialoga o si scontra con “i non credenti.
Un «cammino sul filo» (dal «compromesso storico» ai Pacs) che Oltretevere ha fatto alzare le antenne a più di un illustre porporato.
Del resto al Concilio Vaticano II fu proprio Bettazzi, «instradato da Dossetti, Lercaro, Suenens e Alberigo», a sfidare i «conservatori» attaccando «la centralizzazione della Chiesa provocata dal primato e dall’infallibilità del Papa quando parla “ex cathedra”».
Ora che non c’è più, è giusto ricordarlo anche per ciò che fece e per il ruolo che giocò durante il sequestro di Aldo Moro.
Si è scritto e si è sempre detto che il vescovo Luigi Bettazzi volesse offrirsi in ostaggio ai brigatisti, in cambio di Aldo Moro, e che la Segreteria di Stato di Paolo VI lo invitò a lasciar perdere: «Ha già fatto tanto il Papa, non occorre esporsi di più».
Molti retroscena sul ruolo avuto delle autorità ecclesiastiche nei terribili giorni del sequestro Moro li ha descritti la giornalista Annachiara Valle nel libro “Parole, opere e omissioni. La Chiesa nell’Italia degli anni di piombo”.
La mattina del 3 maggio 1978, sei giorni prima che Moro fosse assassinato dai terroristi che lo avevano sequestrato massacrando gli uomini della scorta, il vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi, presidente di Pax Christi, varcò il Portone di bronzo per recarsi in Segreteria di Stato. Stava per presentargli una proposta concordata con altri due presuli italiani,
«Durante il sequestro mi cercò un avvocato socialista emissario di Craxi per trattare con i brigatisti - scrisse poi Bettazzi - L’avvocato mi ricontattò per farmi incontrare Curcio nel carcere di Torino assieme a un piccolo industriale torinese, che però all’ultimo cancellò l’appuntamento».
Pochi giorni dopo, «mentre ero a Camaldoli, mi telefonò padre Del Piaz, molto vicino a padre Turoldo, suggerendo che un vescovo (Ablondi di Livorno o Riva ausiliare di Roma) si offrisse come ostaggio al posto di Moro e io ottenni l’assenso di entrambi».
Prima di rendere pubblico il possibile scambio, «purtroppo il mio ossequio alle autorità superiori mi portò a chiedere il loro assenso».
Ma il ministro vaticano degli Affari generali, il cardinale Giuseppe Caprio, impedì la trattativa.
«Mi disse: “Non vede che stiamo andando in braccio al comunismo? Il Papa ha già fatto fin troppo a scrivere alle Brigate Rosse”.
Paolo VI, infatti, aveva appena chiesto alle Br la liberazione “senza condizioni”, come gli avevano fatto aggiungere all’ultimo momento.
Bettazzi replicò: “Ma c’è di mezzo la vita di un uomo. La risposta mi agghiacciò perché era quella di Caifa in sinedrio nei confronti di Gesù: “Meglio che muoia un uomo solo, piuttosto che tutta la nazione perisca”.
Bettazzi sospirò: “Allora, facciamo come se non fossi venuto”.
Senza soluzione la risposta: “No, lei poteva non venire, ma ora che è venuto le proibiamo di agire”».
E ciò, notò Bettazzi, «mi fece capire che questa era la decisione della politica mondiale nei confronti del tentativo di Moro di un accostamento del Pci al governo. Già Kissinger aveva chiarito a Moro che, se non cambiava politica, non avrebbe potuto garantirgli la vita. L’equilibrio di Yalta imponeva che si sarebbe dovuto evitare in ogni modo che i comunisti (troppo legati all’Urss) andassero al governo».
Posizioni spesso controcorrente Bettazzi fu definito da Karol Wojtyla come il «vescovo conosciuto in tutto il mondo».
«Riconosco che Dio mi ha dato un’intelligenza un po’ vivace, sollecitata a rivolgersi a sempre nuove conoscenze ed esperienze» ammise Bettazzi.
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