I cinghiali che vivono in montagna escono di notte dai ripari diurni nelle zone di bosco fitto con ontani bassi, rododendri, felci, roveti, per scalzare la cotica erbosa infilando il grifo sotto le radici delle zolle per ribaltarle.
Il grifo è la parte terminale del muso che è allungato e sul quale scaricano tutta la loro forza per fare leva dal basso verso l’alto. La punta del grifo è costituita da materia cornea durissima. Il muso del cinghiale funziona, quindi, come una vanga. L’odorato delle narici poste nel grifo è eccezionale: possono fiutare un lombrico anche a 25 cm sottoterra stando a un metro sopra l’erba.
La “rumata” è un tipico danneggiamento di questo periodo dell’anno ed è causato da branchi femmine con i piccoli. Le femmine in allattamento o appena dopo l’allattamento hanno bisogno di un forte apporto proteico. Lo stesso vale per i piccoli che hanno terminato lo svezzamento. Le proteine ricercate dal cinghiale (che è onnivoro) in montagna sono soprattutto di origine animale e derivano soprattutto da larve di coleottero, larve di ditteri, lombrichi, piccoli di talpa e arvicola delle nevi.
I prati stabili di montagna sono quelli che ospitano le comunità di larve più numerose e quindi sono i più battuti dai cinghiali che ricercano anche i campi di patate o segale, gli orti, i bordi delle strade (con rischio incidenti) perché in questi punti la terra è smossa ed è più facile da scalzare oltre ad essere concimata e quindi ad attirare le larve e i lombrichi con la sua sostanza organica.
I danni di questo tipo diminuiscono in estate per tornare in autunno quando i cinghiali devono acquisire proteine e grassi per la riserva di grasso invernale. Ma da alcuni anni anche in autunno sono presenti nuove cucciolate con le esigenze già descritte sopra per piccoli e femmine in allattamento.
Gli inverni miti senza neve favoriscono questo fenomeno della doppia cucciolata con una crescita esponenziale dei cinghiali (ogni femmina porta a termine gravidanze con 5-6 porchetti (ma dove il cibo è abbondante ci sono sempre più casi di 8-9 piccoli per femmina). Dopo un anno di vita, la femmina è già fertile. L’estro di solito dura tre mesi da novembre a gennaio, ma ora può verificarsi tutto l’anno.
In una notte, un branco medio di 5-6 femmine con una ventina di piccoli può rumare un intero pascolo azzerando la produzione di erba per almeno un paio di estati.
Quando si ripristina, il pascolo non ha più la stessa composizione di erbe e la stessa capacità nutritiva faticosamente raggiunte con secoli di “coltivazione” da parte degli agricoltori. Il pascolo si impoverisce e la qualità dei nutrienti si impoverisce: ne risente la qualità del latte dei formaggi tipici d’alpeggio, con danno economico per gli allevatori.
Ricordo che la monticazione avviene da millenni per fare mangiare alle mucche un’erba fresca di altissima qualità e preservare le riserve invernali di pianura. La qualità dei formaggi di alpeggio è strettamente legata alla qualità del latte che a sua volta è intimamente legata alla qualità delle erbe presenti nel pascolo alpino.
Questa qualità del pascolo non è “naturale” ma viene favorita dall’irrigazione e dalla concimazione creata durante il pascolo stesso o con spandimenti di letame in autunno.
Se le mucche vengono “scacciate” dai cinghiali sparisce anche la cura del pascolo e spariscono i prati di montagna per lasciare posto ai cespuglieti.
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