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06 Maggio 2023 - 15:24
Le salme di alcune vittime del Covid nella bergamasca
Sono tante le emozioni che si affacciano sul viso del direttore generale dell'Oms, Tedros Ghebreyesus, quando, in un'attesissima conferenza stampa a Ginevra, annuncia la fine dello stato di emergenza sanitaria mondiale per il Covid-19.
C'è la soddisfazione di poter finalmente pronunciare la parola "fine" dopo tre anni in cui il virus ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero, c'è il rammarico nel riconoscere ciò che non è andato come doveva, il dolore per i 20 milioni di morti che il virus ha fatto, la preoccupazione perchè la fine dell'emergenza non vuol dire che il pericolo sia definitivamente scampato e c'è l'emozione, per una promessa solenne fatta alle future generazioni: "Non rifaremo gli stessi errori".
Dopo 1221 giorni, tanti ne sono trascorsi da quel 30 gennaio 2020 quando il mondo piombò improvvisamente nell'incubo Covid, l'annuncio di Ghebreyesus ha il sapore di una liberazione: "Il Comitato Oms ha raccomandato la fine dello stato di emergenza ed io ho accettato l'indicazione".
Ma questo, avverte subito, non significa che sia tutto finito: "E' con grande speranza che ora io dichiaro la fine del Covid-19 come emergenza sanitaria globale, ma ciò - tiene a sottolineare - non significa che il Covid sia finito in termini di minaccia alla salute globale. Resta infatti il rischio di nuove varianti emergenti che possono causare altre ondate di casi e morti".
Da qui un primo monito: "La cosa peggiore che i paesi possano fare ora è usare questa notizia per abbassare la guardia, smantellare il sistema che hanno costruito e lanciare alla gente il messaggio che il Covid non è più qualcosa di cui preoccuparsi". Migliaia di persone stanno proprio ora lottando nelle terapie intensive, e dunque, afferma, "il virus è qui per rimanere. Sta ancora uccidendo e sta ancora cambiando".
In poche frasi, il numero uno dell'Oms ricorda quindi cosa abbiano significato questi ultimi tre anni: "All'inizio della pandemia, fuori dalla Cina c'erano circa 100 casi di Covid e non vi erano morti dichiarati. In tre anni il mondo si è capovolto: circa 7 milioni di morti sono stati riportati dall'Oms, ma noi sappiano che la stima è pari almeno a 20 milioni di morti. Il Covid è stato molto di più di una crisi sanitaria, ha causato sconvolgimenti economici, cancellando trilioni dal Pil e ha spinto milioni di persone nella povertà".
Ma da un anno la pandemia registra una tendenza al ribasso ed ora, grazie ai vaccini ed ai nuovi farmaci, ci sono meno morti ed i sistemi sanitari non sono più sotto stress. Da qui arriva la decisione di porre fine allo stato di emergenza. Ma la soddisfazione non cancella gli errori fatti, che Ghebreyesus riconosce: "Una delle maggiori tragedie è che il Covid non doveva andare in questo modo, ma a livello globale una mancanza di coordinamento, di equità e solidarietà ha significato che gli strumenti a disposizione non siano stati utilizzati efficacemente come avrebbero potuto e sono state perse vite che non dovevano essere perse".
Quindi una promessa: "Ci impegniamo verso le generazioni future a non tornare indietro al vecchio schema di panico e trascuratezza che ha lasciato il mondo vulnerabile, ma andremo avanti con un impegno comune a fare fronte a minacce comuni con una risposta comune".
E gli strumenti ci sono, a partire dal nuovo Piano pandemico globale. Insomma, imparare da ciò che è accaduto: "Il Covid - dice - ha cambiato il nostro mondo. Promettiamo ai nostri figli che non faremo mai più gli stessi errori".
Anche perchè, afferma Mike Ryan del Programma per le emergenze sanitarie dell'Oms, "l'emergenza può essere finita ma la minaccia resta. Nella maggioranza dei casi, le pandemie finiscono davvero solo quando una nuova pandemia comincia".
Si apre dunque ufficialmente da oggi una nuova fase, quella in cui i Paesi dovranno gestire il Covid non più come un'emergenza ma sul lungo periodo, come le altre malattie infettive. E con tale obiettivo, cambia in Italia il sistema di monitoraggio dell'epidemia: sarà ora semplificato e terrà conto solo di pochi indicatori, come i casi, i ricoveri ed i decessi.
I green pass e le zone colorate, la prima vittima di Vo' Euganeo e la drammatica colonna di camion militari che attraversa le strade di Bergamo.
Le ondate e i bollettini, il lockdown e il fuggi fuggi dalle stazioni ferroviarie. Le mascherine e gli abbracci negati negli ospedali al collasso, gli addii e le riaperture.
A tre anni dall'esplosione della pandemia di Coronavirus, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato finita l'emergenza che, solo in Italia, ha colpito quasi 26 milioni di persone causando 189 mila vittime. E' il 2020 quando in Italia viene registrato il primo caso di Covid, quel virus di cui ben poco si sapeva all'epoca, se non che aveva colpito in particolare la Cina e la zona di Whuan, dove venne identificato il primissimo focolaio.
Il 29 gennaio una coppia di turisti cinesi in vacanza a Roma viene ricoverata allo Spallanzani, l'ospedale che per mesi divenne punto di riferimento per la cura e la ricerca. Il virus, si scoprirà solo dopo, era però già in circolo in Italia ed aveva cominciato a diffondersi a macchia d'olio.
La data in cui tutto cambiò è il 21 febbraio quando, al termine di una lunghissima giornata di aggiornamenti sui primi casi italiani, arriva la notizia del primo decesso: Adriano Trevisan, 78 anni, residente a Vo' Euganeo morto all'ospedale padovano di Schiavonia. Fu l'inizio della fine.
Il paziente numero 1 viene identificato in un 38enne di Codogno, Mattia Maestri, i cui movimenti e contatti vengono scandagliati ora per ora, minuto per minuto. In undici comuni tra Lombardia e Veneto scatta la 'zona rossa'.
Il 23 febbraio comincia il rituale del bollettino di contagiati e morti da parte della Protezione Civile, mentre il 4 marzo il governo decide la chiusura di tutte le scuole. Sarà solo il primo di una lunga serie di provvedimenti che saranno annunciati dal premier Giuseppe Conte in diretta televisiva e social.
Il successivo, firmato l'8 marzo, estenderà il lockdown della Lombardia a tutta Italia, il primo Paese occidentale ad adottare le misure restrittive.
Si ferma lo sport, chiudono cinema e teatri, bar e ristoranti, congressi e convention, le aziende ricorrono allo smart working e al lavoro agile.
Le città italiane sono attraversate dal silenzio, le strade e le piazze sono vuote, dai balconi spuntano gli striscioni con "andrà tutto bene", saltano feste e ricorrenze.
Bergamo, una delle province più colpite dalla pandemia, diventa il simbolo della tragedia. Le terapie intensive sono al collasso, medici e infermieri allo stremo.
Papa Francesco prega per l'umanità in una piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia, mentre i casi e le vittime continuano a salire di giorno in giorno.
Ad aprile la curva comincia a scendere e le maglie delle restrizioni ad allargarsi, mentre il governo appronta la cosiddetta 'fase 2' con progressive riaperture.
Il 15 giugno è il momento della 'fase 3', con ulteriori alleggerimenti, che prevedono anche la ripartenza del campionato di serie A.
Luglio e agosto saranno però i mesi della quasi totale riapertura, discoteche comprese. Concessioni che gli italiani pagheranno care con una nuova impennata dei casi.
A settembre riaprono le scuole, mentre ad ottobre riesplode l'emergenza.
Il 27 dicembre scatta il 'Vaccine Day', con le immagini dei pazienti che fanno il simbolo della vittoria con le dita. Il 2021 e il 2022 sono gli anni dell'assestamento.
Si intensifica la campagna vaccinale, con la prima, seconda, terza e quarta dose, mentre il virus continua ad attenuarsi e modificarsi nelle sue varianti.
Si sperimentano nuove cure e farmaci, tra cui spuntano anche le pillole antivirali. Le chiusure e i lockdown sono un lontano ricordo e gli italiani tornano a frequentare musei, cinema e teatri.
Scompaiono mascherine, certificazioni e green pass, mentre il bollettino del ministero della Salute - con l'insediamento del nuovo governo Meloni - diventa settimanale.
Il 31 marzo 2022 viene dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, proclamato il 31 gennaio 2020. L'ultima restrizione a cadere - il primo maggio 2023 - è l'obbligo di mascherine negli ospedali, obbligo che resta però ancora in vigore in Rsa e reparti con pazienti fragili.
Oggi, a tre anni dalla notizia dei primi contagi a Roma, finalmente l'emergenza è finita.
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