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“Sindaco, Beit Ummar chiama”: Ivrea non può più voltarsi dall’altra parte

Al 194° presidio per la pace l’appello diretto all’Amministrazione comunale: dalle violenze in Cisgiordania la richiesta di un intervento diplomatico concreto e di rendere vivo il gemellaggio con la città palestinese

Due ragazzini uccisi. I loro corpi sequestrati. Un’intera area dichiarata “zona militare chiusa”, interdetta agli abitanti.
Si chiamavano Mohammad Mahmoud Abu Ayash e Bilal Bahaa Bar’an.

Al 194° presidio per la pace di sabato scorso si è parlato di loro, di Beit Ummar – città gemellata con Ivrea – e di una Cisgiordania dove, da inizio settembre, si sono susseguite incursioni notturne, case perquisite, terreni confiscati, ulivi secolari abbattuti, bambini e ragazzi arrestati senza motivo apparente, lavoratori a cui sono stati ritirati i permessi, dipendenti comunali bloccati fuori dagli uffici. Fino ai giorni più recenti, quando sono stati emessi nuovi ordini militari di sequestro dei terreni.

Da qui è partito l’appello all’Amministrazione comunale guidata da Matteo Chiantore, ma anche ai cittadini, uno per uno.

Cadigia Perini ha letto ad alta voce un messaggio arrivato da Beit Ummar: la fotografia cruda di una terra «diventata una bomba a orologeria».
«Nessun lavoro, nessun denaro. Niente acqua, niente cibo. Cancelli chiusi, strade vuote. Psiche distrutte, volti pallidi. I debiti hanno sommerso la gente. La povertà ormai colpisce tutti. L’ansia non abbandona nessuno. L’attesa è diventata un pericolo. La Cisgiordania è in uno stato di squilibrio. Nessun segnale incoraggiante. Prego Dio per la salvezza e la pace».

Perini ha ricordato che in tutta la Cisgiordania è in corso un’emergenza civile e umanitaria:
«Riceviamo quotidianamente notizie agghiaccianti. L’esaltazione e la ferocia dei coloni non hanno limiti. La popolazione di Beit Ummar è allo stremo, se non colpita è comunque traumatizzata, i bambini in particolare. I palestinesi sono prigionieri in costante pericolo di vita nella loro terra, nelle loro case. E il mondo sta a guardare».

La richiesta del Presidio è stata chiara:
«Chiediamo alle istituzioni, a partire dal Comune di Ivrea, gemellato con Beit Ummar dal 2002, di scrivere nuovamente alla Presidente del Consiglio, al Ministro degli Esteri e al Presidente della Repubblica affinché muovano i canali diplomatici per chiedere ragione della violenza degli occupanti e dell’esercito regolare contro la popolazione di Beit Ummar, come in tutta la Cisgiordania e ancora a Gaza».

Si è chiesto anche di «coinvolgere l’Ambasciata di Israele in Italia» e di «testimoniare il gemellaggio con cartelli alle porte di Ivrea che riportano “Città gemellata con Beit Ummar”, con accanto la bandiera della Palestina».
Un invito a non lasciare che il gemellaggio resti una riga in un documento: o diventa un impegno concreto, oppure resta una formula vuota.

Pierangelo Monti ha ricordato che, anche questa settimana, la guerra tra Russia e Ucraina e le aggressioni israeliane in Palestina sono state «terribili». Ha raccontato dei bombardamenti russi contro Kiev e Odessa – 430 droni e 18 missili – che hanno colpito grattacieli, scuole, strutture mediche, edifici amministrativi. Ha ricordato che anche l’Ucraina ha colpito in territorio russo, con missili e droni diretti a un porto petrolifero sul Mar Nero e alla centrale nucleare di Novovoronezh.

Poi è passato a Gaza, offrendo un’altra fotografia dura:
«Famiglie nelle tende sotto la pioggia, al freddo, con scarsità di cibo e assenza di cure».
Nonostante i proclami seguiti al cessate il fuoco, gli aiuti non sono entrati a sufficienza: mancano cibo, medicine, scorte. Dall’11 ottobre 2025, da quando la tregua è entrata in vigore, più di 250 palestinesi sono stati uccisi e oltre 600 feriti.

Monti ha citato il responsabile di Save the Children, che descrive Gaza come una popolazione «sospesa tra la vita e la morte», e ha ricordato le parole del poeta palestinese Mahmoud Darwish:
«Le guerre finiranno e i capi si stringeranno la mano, e quella vecchia rimarrà ad aspettare il suo figlio martirizzato, e quella ragazza aspetterà il suo amato marito, e i figli aspetteranno il loro eroico padre. Non so chi ha venduto la patria ma so chi ne ha pagato il prezzo».
L’appello finale è stato netto: «Dobbiamo continuare a manifestare e chiedere che l’Italia rompa i rapporti amichevoli, commerciali, politici e militari con Israele. Ognuno di noi può smettere di sostenerlo boicottando prodotti e attività sportive e culturali».

Rosanna Barzan ha denunciato il disegno di legge 1627 presentato da Maurizio Gasparri, che tenta di equiparare antisionismo e antisemitismo. Ha ricordato come, dal 22 settembre, in Italia siano tornate manifestazioni, blocchi e presidi contro il massacro di Gaza, mentre la Global Sumud Flotilla è stata attaccata da Israele e a Udine, durante la partita Italia–Israele, si sono verificati scontri.
«Il ddl amplia in modo rilevante il perimetro repressivo – ha spiegato – fonde diritto penale e potere disciplinare amministrativo». La definizione IHRA, tradotta in legge, crea «un dispositivo potenzialmente censorio». «La critica politica rischia di essere trattata come incitamento all’odio», ha detto, denunciando la compressione degli articoli 21 e 33 della Costituzione.
La conclusione è stata circolare e durissima: «In un momento segnato da un genocidio reale e dal silenzio istituzionale, il ddl Gasparri è una risposta autoritaria al dissenso. Chi teme la mobilitazione dovrebbe ricordare che il vero rischio è perdere la libertà».

Aldo Zanetta ha allargato lo sguardo alle disuguaglianze globali. Ha ricordato i progetti di microcredito partiti da Ivrea per l’Uganda e il loro valore: «Cosa valgono per noi 50 euro? Nulla. Ma in certe zone dell’Africa sono moltissimi».
Poi ha parlato delle tensioni politiche in Tanzania, Niger e Madagascar: «Sono i giovani che non reggono più la mancanza di libertà. Quando esploderà la protesta, sarà un’ondata che travolgerà quei territori».

Al termine del presidio si è discusso dell’idea di organizzare un presidio “speciale” sabato 29 novembre, Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese istituita dall’ONU nel 1977. La maggioranza ha scelto le ore 15, in Piazza Ferruccio Nazionale, con musica, letture, interventi e una bancarella dei libri per bambini raccolti lo scorso anno per contribuire alla costruzione di un serbatoio d’acqua a Beit Ummar. Per l’iniziativa verrà chiesta l’adesione di Comitato per la Palestina, Amministrazione comunale, Centro islamico, Chiesa cattolica, Chiesa valdese e altre realtà.

Sono stati ricordati anche i prossimi appuntamenti: 17 novembre: don Nandino Capovilla presenta Sotto il cielo di Gaza; 21 novembre: Mio padre, tuo padre alla fraternità CISV; 22 novembre: incontro al Notabene per la Giornata contro la violenza sulle donne; 5 dicembre: l’avvocato Gianluca Vitale illustrerà un’azione legale sulla Sumud Flotilla

Il presidio si è sciolto lentamente. Sul volantino è rimasto stampato l’appello: «Beit Ummar, Cisgiordania, allo stremo».

E in piazza, durante i saluti, è rimasto un pensiero ostinato: Se Ivrea è davvero città sorella, questo è il momento di dimostrarlo.

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