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Torino scende in piazza per Gaza: in 10mila sfilano per le strade del centro (FOTO)

La manifestazione raccoglie ampio consenso del mondo civile e politico. Non mancano attimi di tensione: Porta Nuova occupata, foto di Meloni e Netanyahu bruciate

Oggi, lunedì 22 settembre, circa 10mila persone sono scese in piazza a Torino per chiedere a gran voce lo stop al genocidio a Gaza: la mobilitazione, partita dal centro e dallo sciopero generale, ha acceso i momenti più duri della giornata quando un gruppo staccatosi dal corteo ha occupato i binari di Porta Nuova e altri manifestanti, in piazza Graf, hanno dato alle fiamme fotografie che ritraevano la premier e il leader israeliano, mentre azioni dirette e blocchi stradali — dall’incatenamento di attivisti di Ultima Generazione al blocco degli ingressi del campus universitario — hanno trasformato la protesta in una giornata di forte mobilitazione.

Quest'ultima, che ha preso le mosse già dalle prime ore della mattina con lo sciopero generale promosso dai sindacati di base, ha visto nella stazione di Porta Nuova e nelle sue immediate vicinanze il cuore delle tensioni più vistose: lì un gruppo di manifestanti si è staccato dal corteo principale e ha raggiunto, poi occupato, i binari ferroviari.

La giornata era iniziata sotto la pioggia: dalle sette del mattino attivisti e studenti hanno bloccato gli ingressi del Campus universitario Einaudi per impedire le lezioni, dando concretezza al messaggio dei comitati studenteschi che in un comunicato hanno scritto «Anche noi dobbiamo svuotare le aule perché è nelle scuole che si riproduce tutta la società - Fermiamo le scuole, fermiamo le città, fermiamo il mondo, perché a Gaza non ci sono più aule, non ci sono più ospedali, non c'è più tempo. Blocchiamo tutto per Gaza, non possiamo più rimandare la costruzione di un mondo decente»; gli studenti si sono poi dati appuntamento alle 9.30 in piazza Arbarello per spostarsi verso piazza Carlo Felice e la stazione di Porta Nuova, da dove è partito il corteo dei sindacati di base.

Nel corso della mattinata Piazza Carlo Felice si è rapidamente riempita: secondo le stime riportate, erano circa 10mila le persone presenti, fra studenti, lavoratori e militanti delle sigle più disparate. Altri partecipanti sono giunti poi da diverse fasce della città: il corteo principale ha proseguito lungo via Madama Cristina, mentre una porzione di manifestanti riconducibile al coordinamento “Torino per Gaza”, composta in larga parte da centri sociali, si è separata dal flusso principale per dirigersi verso la stazione e le linee ferroviarie. In quell’area l’ingresso principale di Porta Nuova è stato chiuso dalle forze dell’ordine.

La scelta di occupare i binari non è stata l’unica azione diretta della giornata, ma è stata senz’altro una delle più simboliche e ad alto impatto: alcuni manifestanti hanno stazionato sui tracciati ferroviari all’altezza di via Sacchi, rendendo evidente la volontà di colpire infrastrutture strategiche come gesto di pressione politica. Sul piano simbolico e scenografico, la protesta ha assunto momenti molto caldi e visibili: in piazza Graf alcuni attivisti hanno dato alle fiamme fotografie raffiguranti la premier Giorgia Meloni e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, gesto accolto con applausi e slogan come «I popoli in lotta scrivono la storia, Intifada fino alla vittoria», mentre tra i cortei si sono alzati cori e si sono accesi fumogeni, con la tradizionale esecuzione di «Bella Ciao» a scandire la protesta.

Nel proseguo della giornata, le modalità della mobilitazione si sono dimostrate eterogenee: alla dimensione di massa — il lungo serpentone che ha attraversato vie e piazze — si sono affiancate azioni più circoscritte ma altrettanto disruptive. Il movimento Ultima Generazione, attivo nella mattinata, ha messo in campo un blitz in corso Vittorio Emanuele II dove una decina di persone si sono sedute sulle strisce pedonali, bloccando il traffico; un’attivista si è incatenata a un semaforo. In quell’occasione è intervenuta la Digos per le identificazioni, mentre uno dei manifestanti presenti ha dichiarato di avere intrapreso uno sciopero della fame da alcuni giorni per sollecitare misure concrete contro la situazione a Gaza e per chiedere riconoscimento e corridoi umanitari.

A rendere la giornata ancora più complessa sono state le diverse direzioni assunte dagli spezzoni del corteo: una parte dei manifestanti, dopo aver occupato i binari, ha poi proseguito verso la stazione di Torino Lingotto, mentre altri hanno organizzato presidi itineranti, fra cui un presidio prima davanti all’ospedale Molinette e successivamente il blocco del traffico in corso Unità d’Italia. Nel pomeriggio la manifestazione è confluita in un appuntamento finale: il corteo ha raggiunto piazza Vittorio Veneto, dove è terminata la mobilitazione principale, e da lì alcuni gruppi hanno compiuto un’alternativa suggestiva e simbolica lungo il Po, scendendo sui Murazzi e imbarcandosi su canoe per un tratto del fiume, sventolando bandiere palestinesi sotto gli applausi. Sul ponte Umberto I è comparso anche uno striscione con la scritta «Rompere con Israele».

Il filo che ha unito le varie azioni è stato lo stesso sentimento di urgenza espresso nei vari interventi: l’intento di «bloccare porti e stazioni in solidarietà alla Palestina, alla Flotilla e contro il governo Meloni», riportato da alcuni manifestanti in prossimità dell’ex stabilimento Microtecnica, rende esplicita la matrice politica della giornata e la volontà di usare mezzi di pressione diretta per ottenere visibilità. Le immagini delle foto bruciate, dei fumogeni, delle persone sedute in mezzo alla carreggiata e di qualcuno incatenato a un semaforo sono rimaste impresse come i momenti più caldi di una manifestazione che ha mescolato sacrosanta visibilità mediatica e scelte di conflitto civile che mettono in crisi la normale funzionalità urbana.

Sul piano pratico le conseguenze per la città sono state evidenti: la chiusura dell’ingresso principale di Porta Nuova, le occupazioni dei binari e i blocchi in più punti hanno determinato disagi al trasporto pubblico e ferroviario e rallentamenti al traffico, mentre le forze dell’ordine hanno dovuto stringere presìdi e procedere a identificazioni. La mobilitazione annunciata dai sindacati di base aveva già previsto possibili ripercussioni sulla mobilità e sulle attività quotidiane; ciò nonostante la giornata ha mostrato come la strategia di mescolare cortei di massa a interventi mirati sulle infrastrutture possa moltiplicare l’effetto dirompente in termini di visibilità e pressione politica.

A livello simbolico la scelta di incendiare i ritratti dei leader internazionali e di utilizzare le vie di comunicazione come palcoscenico delle rivendicazioni ha polarizzato emozioni e posizioni: per alcuni manifestanti si tratta di un atto di denuncia radicale, per altri osservatori è una soglia che rende più facile il conflitto con le forze dell’ordine e con i cittadini colpiti dai disagi. Resta, per i promotori, la lettura di fondo: la mobilitazione non è solo una protesta contro le politiche estere, ma una chiamata alla solidarietà e a misure concrete a tutela delle popolazioni civili.

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