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14 Settembre 2025 - 00:34
Siamo a 185. Centottantacinque settimane. Sempre lì, in piazza Ferruccio Nazionale, a Ivrea. Sempre con la stessa ostinazione, ogni sabato mattina, perché la guerra continua e la pace non arriva. Il 185° presidio per la pace si è svolto il 13 settembre, poche ore prima della manifestazione del Comitato Ivrea per la Palestina che nel pomeriggio ha portato in piazza centinaia di persone. Una giornata che ha unito due appuntamenti diversi ma con lo stesso filo rosso: dire basta alle guerre e chiedere giustizia per la Palestina.
Ad aprire gli interventi è stato come sempre Pierangelo Monti. Ha ricordato che questa non è una giornata qualunque ma una mobilitazione che ha coinvolto città in tutta Italia e nel mondo, a sostegno soprattutto della Global Sumud Flottilla, diretta a Gaza per rompere l’assedio e portare aiuti alla popolazione civile, vittima di quello che ha definito “il genocidio perpetrato dal governo israeliano”.
Monti ha ribadito che il presidio di Ivrea condanna tutte le guerre, i terrorismi, le violenze e le ingiustizie.
“Ripetiamo la richiesta di cessare il fuoco e costruire la pace, disarmando e non riarmando gli eserciti, dialogando tra le parti in conflitto e non colpendo l’avversario quando si predispone un incontro”, ha detto, ricordando che Israele a Doha, in Qatar, ha violato ancora una volta il diritto internazionale. Monti ha anche denunciato la scelta della Camera dei deputati di respingere le cinque mozioni presentate dalle opposizioni contro l’aumento delle spese militari al 5% del Pil.
“Vergogna!” ha scandito davanti alla piazza.
Come sintesi di quanto viene ripetuto ogni sabato, Monti ha citato il documento del Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera di Viterbo.
“Siamo sull’orlo del baratro della guerra mondiale che può annientare l’umanità. Nessun fine è più importante della salvezza dell’umanità dalla distruzione. Occorre iniziare il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti; fare della nonviolenza la politica comune dell’umanità. Fermare immediatamente tutte le guerre ed aprire negoziati in ogni conflitto in corso. Sostituire alla cosiddetta ‘difesa’ armata la Difesa Popolare Nonviolenta. Sostituire agli interventi militari i Corpi Civili di Pace. Iniziare lo smantellamento di tutti gli arsenali, a cominciare da quelli nucleari. Fermare la produzione e il commercio di armi. Restituire all’Onu la funzione di istituzione sovranazionale per risolvere pacificamente i conflitti internazionali. Chiedere a tutti gli esseri umani di rifiutarsi di uccidere altri esseri umani. Salvare le vite è il primo dovere”.
Monti ha insistito soprattutto sulla necessità di salvare i bambini. “Si fa tanto per alleviare le sofferenze dei nostri bambini quando sono malati! E allora ritengo che tra i tanti mali causati dalle guerre, dalla malvagità, dall’indifferenza, quello di far soffrire o addirittura uccidere i bambini sia il peggiore. Una delle cause dei mali dell’umanità è la mancanza di empatia”.
Le parole si sono intrecciate ai numeri forniti da Save the Children. A Gaza, in meno di due anni di conflitto, almeno 20.000 bambini hanno perso la vita sotto i bombardamenti delle forze armate israeliane. Più di mille non avevano ancora compiuto un anno. In media, dal 7 ottobre 2023, è stato ucciso più di un bambino ogni ora. Migliaia sono dispersi, oltre 42.000 sono stati feriti, e 21.000 resteranno invalidi per sempre. La carestia minaccia oltre 132.000 bambini sotto i cinque anni e già 135 sono morti di fame. Il 97% delle scuole e il 94% degli ospedali sono stati danneggiati. Numeri che raccontano una catastrofe umanitaria senza precedenti. In Ucraina, dal febbraio 2022, sono stati registrati 733 bambini uccisi e 2.285 feriti, l’equivalente di circa 150 classi scolastiche. “Oggi dovremmo parlare di studenti che imparano nelle aule, non di bambini che popolano cimiteri e reparti ospedalieri”, ha scritto l’organizzazione.
Monti ha anche letto anche un messaggio dell’attivista Claudio Tamagnini, a bordo di una delle barche della Flottilla partita da Siracusa: “È ora di partire. Il governo di Netanyahu rimane a galla solo continuando la carneficina a Gaza e la violenza in Cisgiordania, ma non ha più credito nel mondo e nemmeno a casa sua. Altri pazzi, bianchi e colonialisti come lui continuano a sostenerlo. Ma i popoli del mondo siamo tutti contro di loro, anche se ancora non contiamo niente. Bisogna fare qualcosa di grande, con decine di barche, a nome dei popoli di 40 Paesi, provare ad arrivare a Gaza e aprire un corridoio”.
Nel frattempo, l’Assemblea generale dell’Onu ha votato una Dichiarazione promossa da 21 Paesi per la soluzione dei due Stati: 142 sì, 10 no e 12 astensioni. L’Italia ha votato a favore, insieme al resto dell’Unione Europea.
Sulle colonne di Avvenire, la giornalista Anna Maria Brogi ha scritto che si tratta di un primo passo sostanziale verso la Conferenza del 22 settembre, quando alcuni Paesi annunceranno ufficialmente il riconoscimento della Palestina. La Dichiarazione condanna gli attacchi di Hamas del 7 ottobre ma anche quelli di Israele contro i civili a Gaza, l’assedio e la riduzione alla fame. “Gaza è parte integrante di uno Stato palestinese e deve essere unificata con la Cisgiordania. Non dev’esserci occupazione, assedio, riduzione territoriale o spostamento forzato”, si legge nel documento, che prevede anche una missione internazionale di stabilizzazione a Gaza sotto mandato del Consiglio di sicurezza. Israele ha risposto con durezza, definendola una “dichiarazione vergognosa”.
Il presidio ha poi dato spazio a Livio Obert, che ha illustrato i dati sui bilanci dei Paesi Nato, mostrando come tutti abbiano deficit altissimi e siano costretti a tagliare sul sociale per aumentare la spesa militare. I numeri? Grecia 177, Francia 111, Spagna 112, Stati Uniti 134, Regno Unito 103, Germania 67. E l’Italia? Ha un debito pari al 145% del Pil.
“Le guerre servono a distrarre la gente: di là c’è un nemico, tutti alle armi”, ha stigmatizzato.
Intanto la Nato ha reso noto che tutti i 32 Paesi membri hanno raggiunto l’obiettivo del 2% del Pil per la spesa militare, e che dovranno arrivare al 3,5% e poi al 5%. Nel 2025 la spesa militare italiana ammonta a oltre 45 miliardi di euro, cioè più di 124 milioni al giorno. “Un solo giorno di spesa militare equivale a tutto ciò che il governo ha stanziato in un anno per il fondo di garanzia prima casa”, ha osservato Obert.
Giorgio Franco ha letto alcune pagine del libro di Edward Said, La questione palestinese.
Said, nato a Gerusalemme nel 1935 e morto a New York nel 2003, spiegava già nel 1979 come la Palestina fosse una terra abitata da secoli e come il sionismo avesse costruito il mito di una “terra senza popolo per un popolo senza terra”. Un modo di pensare che ha giustificato la colonizzazione e la cancellazione della presenza palestinese. “La resistenza palestinese non è mai venuta meno, nonostante tutto”, ha commentato Franco, chiedendosi se oggi non siamo arrivati all’atto finale di un genocidio e ribadendo che la resistenza va sostenuta con tutti gli strumenti possibili.
Infine è intervenuta Leila Talbaoui. Ha ricordato come alla fine della Seconda guerra mondiale, agli ebrei sopravvissuti allo sterminio sia stata data la Palestina, creando una disuguaglianza che si è aggravata nel tempo. Gli agricoltori arabi non avevano accesso ai prestiti, non potevano competere con gli israeliani. “Perché non possiamo costruire una società in cui arabi ed ebrei convivano? Perché non troviamo altri obiettivi comuni, come l’acqua?”, ha chiesto con forza. E ancora: “Quando si uccide Hamas, nessuno si chiede chi gli ha dato le armi”.
Il presidio si è concluso con un appello alla mobilitazione. Sabato prossimo, 20 settembre, il testimone passerà a Torino, con il 186° presidio per la pace che confluirà nella grande manifestazione regionale. Appuntamento alle 14.30 in piazza Statuto, da cui partirà un corteo contro il genocidio in Palestina.
FOTO del presidio del mattino e del corteo del pomeriggio del COMITATO PER LA PACE DI IVREA
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