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Carnevale di Ivrea
17 Gennaio 2025 - 00:19
“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”. Un monito dantesco che campeggia, a caratteri cubitali, all’ingresso del Rondolino.
È il biglietto da visita dei Diavoli Aranceri, la squadra che ogni anno trasforma questa piazza in un teatro infuocato, dove si consuma uno degli spettacoli più iconici dello Storico Carnevale di Ivrea.
Un messaggio che sembra voler dire: “Noi vi abbiamo avvertiti, il resto è nelle vostre mani”. Ai turisti, la piazza si svela nella sua bellezza spettacolare, un luogo di storia e tradizione. Ai carri, invece, si spalancano le porte dell’inferno.
Ma chi sono, davvero, i Diavoli? Per capirlo, bisogna tornare indietro nel tempo, fino al 1973, quando un gruppo di amici, uniti dalla passione per il Carnevale, decise di fondare una squadra. Erano Pietro Lupato, Pierfranco Garda, Giacomo Cena e Antonio Vernetto, detto “Didon”
Provenivano da formazioni diverse, ma avevano un obiettivo comune: creare qualcosa di unico, dove la trasparenza e la gioia fossero i pilastri fondanti. Fu così che nacquero i Diavoli Aranceri, una squadra che da allora incarna lo spirito più autentico e combattivo della festa.
Tutto iniziò nella stessa Piazza Rondolino, allora occupata dai Credendari. I primi passi furono piccoli ma decisi: 36 iscritti il primo anno, raddoppiati in appena due anni. Oggi, i Diavoli contano più di mille iscritti, un esercito che ha fatto della piazza il suo regno indiscusso.
All’inizio si pensò di chiamarli “Cobra”, un nome che evocava il morso velenoso e letale del serpente. Ma presto, quell’immagine lasciò spazio a qualcosa di ancora più potente: il diavolo, simbolo di fuoco, sfida e ardore. Niente più morsi, dunque, ma il forcone infuocato di chi non teme nulla e nessuno.
Il primo stemma della squadra nacque dal genio creativo di Teresa Cena, mentre la prima casacca – inconfondibile nella sua vivacità – fu ideata da Teresa Soggia. Dorina, invece, confezionò le prime bandiere, che oggi sventolano fiere tra cori e tamburi. Ogni dettaglio ha una storia, ogni nome una memoria che la squadra custodisce gelosamente. I 52 fondatori, ancora oggi, sono ricordati con rispetto e gratitudine.
Nel cuore della squadra pulsa un motto che riecheggia potente nei giorni di Carnevale: “Uno per tutti, tutti per i Diavoli”. Una frase che racchiude l’essenza di questa formazione, dove ogni arancere è parte di un grande disegno collettivo, unito da valori di appartenenza e lealtà.
Tra le tradizioni che rendono unici i Diavoli, ce n’è una che affascina e commuove. Prima di ogni tiro, l’intera squadra si raduna in un cerchio perfetto attorno al suo presidente, al centro della piazza. È un momento solenne, quasi sacro, fatto di silenzi carichi di aspettativa, rulli di tamburi e cori che esplodono in un crescendo. In quei minuti sospesi, il presidente – il “primo Diavolo” – trova sempre le parole giuste per accendere i cuori, ricordando i valori fondanti della squadra: rispetto, passione e spirito di squadra.
E così, al grido di battaglia, i Diavoli si scatenano, trasformando Piazza Rondolino in un campo di lotta e festa. Le arance volano come proiettili incandescenti, simbolo di una tradizione che ogni anno si rinnova con la stessa intensità e lo stesso amore di cinquant’anni fa.
Insomma, essere un Diavolo non è solo indossare una casacca e impugnare un’arancia. È un’appartenenza, un’identità, una passione che brucia come il fuoco e che non conosce fine.
I diavoli oggi sono guidati da Marco Lupato, 44 anni, figlio di Pietro, uno dei fondatori. E' subentrato a “Didon” che ha guidato la squadra per 50 anni. Nato a Ivrea ma residente a Pavone. Al suo fianco il vicepresidente Davide Vacchiero. Nel direttivo Piero Garetto, Diego Tappero, Matteo Garbin, Alessandra Caron, Marco Lucca Barbero, Demetrio Cutrupi, Luca Pitetti, Marco Torreano e Mattia Alasotto. Lupato ha indossato la sua prima divisa a 8 mesi.
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