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Documentario
18 Agosto 2024 - 17:00
La Somalia è stata utilizzata dall’Occidente come discarica per i rifiuti tossici. Si ritiene che centinaia di somali nella regione del Puntland siano già morti. Due giornalisti italiani avevano indagato su questo traffico, ma furono assassinati nel 1994. Nel 2009, un mafioso italiano confidò ai tribunali di possedere le chiavi del traffico. Ciò che potremmo scoprire getterà una luce cruda sul ruolo dell’Occidente nella creazione dell’inferno somalo.
Il documentario "Toxic Somalia" di Investigations et Enquêtes è un'inchiesta dettagliata e sconvolgente che esplora il devastante impatto ambientale e umano del traffico di rifiuti tossici lungo le coste della Somalia.
Questo fenomeno, emerso in un contesto di anarchia e guerra civile, ha trasformato uno dei territori più poveri e vulnerabili del mondo in una discarica pericolosa per materiali tossici provenienti da Paesi industrializzati.
La Somalia, descritta come uno dei territori più ostili e pericolosi del pianeta, è una nazione devastata dalla guerra civile, dalla fame e dal controllo di gruppi armati, inclusi i pirati. In questo contesto, l'anarchia ha aperto la porta a traffici illeciti di ogni genere, tra cui quello dei rifiuti tossici. Il documentario inizia con un viaggio lungo la costa somala, dove misteriosi fusti contenenti sostanze chimiche pericolose sono stati ritrovati sulle spiagge. Questi fusti, spinti a riva dal devastante tsunami del 2004, sono considerati la prova di un'inquietante verità: la Somalia è stata trasformata in una discarica per i rifiuti tossici di altri Paesi.
Gli abitanti dei villaggi costieri hanno raccontato di malattie in aumento, deformità genetiche tra i bambini e un degrado ambientale evidente, con acque marine contaminate e pesci morti che si accumulano sulle spiagge. Il documentario riporta testimonianze strazianti di come queste sostanze tossiche abbiano devastato le vite delle comunità locali, costringendo molti pescatori a lasciare il loro lavoro tradizionale e unirsi ai pirati per sopravvivere.
Una parte centrale del documentario è dedicata alla tragica storia di Ilaria Alpi, giornalista italiana della RAI, e del suo cameraman Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio nel 1994 mentre indagavano su questo traffico di rifiuti tossici. Ilaria Alpi era in Somalia per seguire la missione di pace italiana, ma la sua attenzione si era presto spostata su questioni più oscure, come il traffico di armi e rifiuti tossici, che coinvolgevano potenti interessi internazionali e italiani.
Le sue inchieste l'avevano portata a scoprire connessioni tra gruppi armati somali e figure corrotte in Italia, che utilizzavano la Somalia come discarica per rifiuti pericolosi in cambio di armi. Questi traffici, protetti dall'instabilità politica e dall'assenza di un governo centrale forte, avrebbero portato alla sua morte. Il documentario suggerisce che il suo omicidio fu un'esecuzione premeditata per mettere a tacere le sue scoperte.
Nonostante numerose inchieste e processi, la verità su chi ordinò l'omicidio di Ilaria Alpi e sul perché non è mai stata completamente rivelata. Gli eventi che portarono alla sua morte rimangono avvolti nel mistero, alimentando teorie secondo cui sarebbe stata uccisa per ciò che aveva scoperto e per ciò che avrebbe potuto rivelare.
Il documentario continua a esaminare come il traffico di rifiuti tossici sia stato organizzato e facilitato da una rete internazionale di criminali, funzionari corrotti e imprese senza scrupoli. Questa rete sfruttava la situazione di caos in Somalia per smaltire illegalmente rifiuti pericolosi a costi minimi, con la complicità di leader somali corrotti e di uomini d'affari italiani.
Attraverso intercettazioni telefoniche e documenti segreti, si scopre che la rete coinvolgeva personalità di spicco del mondo degli affari e della politica italiana, con connessioni fino ai più alti livelli di governo. Il documentario svela come questi traffici siano stati coperti per anni, con autorità che chiudevano un occhio o che attivamente impedivano che la verità venisse a galla.
Uno degli episodi più significativi riguarda la creazione di falsi consoli e ambasciatori in Somalia, che utilizzavano i loro titoli diplomatici per organizzare il trasporto e lo smaltimento di rifiuti tossici. Questi personaggi, con l'appoggio di militari e di politici corrotti, orchestravano operazioni di smaltimento su larga scala, spesso coperte da progetti di aiuto umanitario o di sviluppo economico.
"Toxic Somalia" dipinge un quadro desolante di come l'avidità e la corruzione possano devastare un Paese già provato dalla guerra e dalla povertà. Il documentario denuncia non solo il disastro ambientale, ma anche l'impunità con cui i responsabili hanno agito e continuano a operare. Nessuno degli industriali o dei funzionari coinvolti nel traffico di rifiuti tossici è stato mai veramente punito, e le popolazioni somale continuano a soffrire le conseguenze di questo crimine.
La storia di Ilaria Alpi emerge come un simbolo della lotta per la verità e della tragica fine che spesso attende chi si oppone a interessi tanto potenti. La sua morte, ancora irrisolta, è un monito di come la ricerca della verità possa essere pericolosa in un mondo dove il potere economico e la corruzione prevalgono sulla giustizia e sulla moralità.
Il suo lavoro come inviata del TG3 la portò in Somalia nel dicembre 1992 per coprire la missione di pace "Restore Hope", organizzata dalle Nazioni Unite per tentare di porre fine alla guerra civile scoppiata dopo la caduta di Siad Barre nel 1991. Durante le sue inchieste, Alpi scoprì quello che sembrava essere un traffico internazionale di rifiuti tossici e armi, in cui sarebbero stati coinvolti sia i servizi segreti italiani sia alte istituzioni italiane.
Il 20 marzo 1994, Ilaria Alpi e l'operatore Miran Hrovatin furono assassinati a Mogadiscio, vicino all'ambasciata italiana. Il loro omicidio avvenne in circostanze misteriose, subito dopo il loro ritorno da Bosaso, dove avevano intervistato il sultano locale e investigato su alcuni pescherecci sospettati di essere coinvolti in traffici illeciti.
Le indagini sull'omicidio furono caratterizzate da molteplici depistaggi e contraddizioni. Inizialmente, furono aperti due procedimenti penali distinti per la morte di Alpi e Hrovatin, ma le inchieste si scontrarono con numerosi ostacoli, inclusa la sparizione di testimoni chiave e la manipolazione di prove.
Nel 1998, Hashi Omar Hassan, un cittadino somalo, fu accusato del duplice omicidio e condannato a 26 anni di reclusione. Tuttavia, la sua condanna fu successivamente annullata nel 2016, quando fu assolto per non aver commesso il fatto, dopo aver scontato 17 anni in carcere. Le indagini ufficiali non riuscirono mai a identificare i veri colpevoli né a chiarire definitivamente il movente dell'omicidio.
La madre di Ilaria, Luciana Riccardi Alpi, dedicò la sua vita a cercare giustizia per sua figlia, denunciando le continue manovre di depistaggio e chiedendo verità fino alla sua morte nel 2018. L'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin resta uno dei misteri irrisolti più emblematici della storia italiana, simbolo delle difficoltà nel fare luce su verità scomode legate a poteri occulti e traffici illeciti internazionali.
Le indagini e i processi legati al caso Alpi-Hrovatin hanno coinvolto anche questioni delicate come i rapporti tra Italia e Somalia, il coinvolgimento di organizzazioni come Gladio, e le operazioni segrete dei servizi segreti italiani. Numerose commissioni parlamentari hanno tentato di far luce sul caso, ma il mistero rimane, alimentato da continui dubbi e sospetti sulla verità nascosta dietro la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
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