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Cronaca

Don Alì, il ‘capo dei maranza’, pubblica un altro video di violenza: Torino esplode nella rabbia

Un ragazzo inginocchiato, i colpi, il sangue: e intanto l’inchiesta si allarga

Il nuovo video attribuito a Don Alì, che sui social si autoproclama “capo dei maranza”, è l’ennesima escalation di un personaggio che da mesi ha trasformato la violenza in un format digitale. Nelle immagini, circolate nelle ultime ore su diverse piattaforme, si vede un ragazzo in ginocchio, la testa stretta tra le mani del 24enne, poi una serie di colpi, un movimento secco, il sangue che compare. Una scena che potrebbe sembrare un fake, ma che – vera o verosimile – riproduce la stessa estetica brutale che ha reso Don Alì una presenza costante negli ambienti più tossici dei social: sopraffazione, messinscene, frame costruiti come trofei da esibire al pubblico.

Il video arriva mentre su Don Alì è già aperto un fascicolo della Procura di Torino, coordinato dal pm Roberto Furlan, con ipotesi di reato per minacce e diffamazione. Un’inchiesta nata da un episodio avvenuto poche settimane fa e che ha sconvolto la città: il video in cui il giovane aveva ripreso un maestro elementare, accusandolo senza prove di maltrattare bambini, mentre la figlia dell’uomo – appena tre anni – assisteva terrorizzata alla scena. Un’aggressione verbale e visiva costruita per diventare virale, senza alcuna cura nel proteggere il volto della minore.

Quella vicenda aveva già sollevato un’ondata di indignazione. Nel filmato, Don Alì indossava una tuta nera e si avvicinava all’uomo mentre un amico riprendeva tutto col telefono. La bambina si stringeva alla gamba del padre, spaventata, mentre lui veniva accusato di essere un violento. Il video conteneva una minaccia diretta: « La prossima volta che ci viene riferito che fai il bullo e maltratti un bambino, questo video diventerà pubblico ». Nonostante quella frase, il filmato fu pubblicato immediatamente, raggiungendo migliaia di visualizzazioni e centinaia di commenti in poche ore.

I numeri raccontano da soli la potenza virale del fenomeno: oltre 217mila follower sulle piattaforme principali, più di 5mila like e duemila condivisioni per quel video con il maestro e la bambina. Una scelta che ha aggravato non solo il profilo pubblico del personaggio, ma anche la violazione della privacy della piccola, esposta senza alcuna tutela.

Il caso era stato amplificato anche dall’intervento dell’influencer Riccardo Maria Bruno, che aveva condiviso il filmato dopo aver oscurato il volto della bambina e chiesto l’intervento delle autorità. Nel suo post, rivolgendosi alle forze dell’ordine, aveva scritto: « Ma le forze dell’ordine non dovrebbero attenzionare questi elementi? Fa vedere anche la bambina ». Un appello che aveva rilanciato il dibattito sulla soglia, sempre più confusa, tra contenuto social e possibile condotta penalmente rilevante.

Proprio la velocità con cui questi video vengono consumati – e spesso applauditi da una platea che premia la spettacolarizzazione della violenza – è al centro delle preoccupazioni. Non si tratta solo di episodi isolati, ma di un modello narrativo che normalizza intimidazioni, sopraffazione, linguaggi aggressivi e l’uso dei social come strumenti di pressione e umiliazione. Il tutto amplificato da un personaggio che continua a muoversi in un limbo tra finzione dichiarata e situazioni che sfiorano o superano la soglia del penalmente rilevante.

Il nuovo video, quello del ragazzo inginocchiato, è ora oggetto di verifiche. Ma a prescindere dalla sua autenticità materiale, ripropone lo stesso schema: un palco, un pubblico, una presunta forza mostrata come intrattenimento, e un crescendo di violenza che alimenta la notorietà del protagonista. Intanto, il fascicolo a Torino prosegue il suo corso, la scuola coinvolta nel precedente episodio ha ribadito il proprio sostegno al maestro e alla sua famiglia, e la rete continua a interrogarsi su quanto ancora si possa tollerare questo tipo di spettacolarizzazione senza conseguenze concrete.

Il caso Don Alì è ormai uno specchio perfetto della deriva digitale degli ultimi anni: una miscela di idolatria, aggressività e bulimia social che rende sempre più difficile distinguere dove finisce lo show e dove comincia il pericolo reale.

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