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18 Settembre 2025 - 08:00
Un tuffo spettacolare, una ripresa col cellulare e un gruppo di amici che assiste tra urla e risate. È bastato questo per trasformare il ponte passerella sulla Dora, a Ivrea, nell’ennesimo palcoscenico improvvisato della moda più incosciente del momento: buttarsi giù dai ponti. La scena, avvenuta nei giorni scorsi, è già diventata virale, rimbalzando tra Facebook e TikTok come un’impresa da esibire con orgoglio.
Ma non si tratta di un episodio isolato. In tutta Italia parapetti e ringhiere vengono trasformati in trampolini di fortuna: dal Lago di Como ai Navigli di Milano, fino ai pontili lungo le coste, i video si moltiplicano e i like premiano l’azzardo. Una cartografia del rischio che racconta di pontili scavalcati per cercare lo scatto perfetto, di barriere violate per un video da condividere, e — nel peggiore dei casi — di tragedie finite nelle cronache nere, con ricerche di sommozzatori e ritrovamenti di corpi.
I tuffi non sono solo vietati: sono pericolosi. Forze dell’Ordine e Amministrazioni Comunali hanno più volte richiamato i giovani al buon senso, con multe e ammonimenti, ma i richiami non bastano. Perché un ponte non è una piscina: la profondità dell’acqua cambia con le stagioni e con le piogge, sotto la superficie possono celarsi rocce, tronchi o ferri arrugginiti, e le correnti sono molto più insidiose di quanto sembri a occhio nudo. Basta una minima imperfezione nell’impatto con l’acqua, anche da pochi metri, per provocare traumi cranici o spinali. E allora il prezzo da pagare per un video da 15 secondi può trasformarsi in un dramma senza ritorno.
Il fenomeno ha acceso polemiche in diverse città: famiglie che chiedono più controlli, sindaci che rispondono con ordinanze e multe. Ma la verità è che le sanzioni non cancellano la radice del problema, cioè il meccanismo dei social che premia chi sfida il pericolo. Alcune località hanno intensificato la vigilanza, ma l’impressione è che serva un’azione più profonda e culturale, non solo interventi spot.
Le soluzioni ci sono: più sorveglianza nei punti a rischio, soprattutto nei weekend e nelle ore serali; cartelli che non si limitino a un generico “vietato tuffarsi”, ma spieghino chiaramente i pericoli nascosti sotto la superficie; recinzioni o ostacoli nei luoghi più critici, senza trasformare la città in una gabbia. La vera sfida resta quella educativa, per spegnere la fascinazione del gesto pericoloso prima che diventi routine.
Sulla vicenda è intervenuto anche il consigliere comunale Massimiliano De Stefano. Non nasconde la sua preoccupazione.
«Un esempio inquietante di comportamento irresponsabile in un’area frequentata da famiglie e bambini. È fondamentale che Ivrea si esprima con fermezza contro tali gesti, che non solo mettono in pericolo l’incolumità delle persone, ma rischiano anche di essere emulati con conseguenze potenzialmente fatali. La denuncia deve essere immediata e incisiva, affinché venga dato un chiaro segnale di condanna. Non possiamo rimanere in silenzio: è nostro dovere proteggere il benessere collettivo».
A Ivrea, la passerella sulla Dora è un luogo simbolico, bello e frequentato, non certo un trampolino da reality. Trasformarlo in set per una bravata è un peccato, oltre che un rischio enorme. Il salto più grande, oggi, non è quello nel fiume: è quello verso la consapevolezza.
A Ivrea c’è chi si tuffa dalla passerella sulla Dora. Non è una bravata, è un contenuto. Non è un salto, è un reel.
Non è acqua, è pubblico. Il ragazzo vola, l’amico riprende, gli altri applaudono. È la nuova liturgia: prima la croce, ora Tiktok. Non più il battesimo nel fonte, ma il battesimo nello streaming.
Un tempo i tuffi erano sport. Poi sono diventati spettacolo. Adesso sono algoritmo. Perché il like non si prende più con l’intelligenza, ma con la gravità.
Da Lecco a Milano, da Pavia a Ivrea: ponti, passerelle, parapetti. Tutto può diventare trampolino. Vietato? Sì. Pericoloso? Certo. Ma vuoi mettere il prestigio di un “mi piace”? Che poi è un applauso senza mani, una medaglia di plastica, una gloria da dieci secondi che evapora al dodicesimo.
E intanto i fiumi restano fiumi: profondità variabili, correnti bastarde, rocce che non chiedono il permesso. Un tuffo sbagliato e finisce la partita, con la differenza che il replay non lo guardi, lo piangi.
Gli adulti si indignano, chiedono più controlli, più multe, più cartelli. Ma i cartelli li leggono solo i turisti giapponesi. I ragazzi leggono solo le notifiche. E se devono scegliere tra un avviso di divieto e un avviso di nuova visualizzazione, indovina chi vince.
E allora eccoci: un ponte passerella che diventa passerella per i social. E la Dora, povera Dora, che non è più un fiume ma un set.
Morale: ci si butta giù per farsi vedere, e si rischia di sparire davvero. Perché tutto galleggia: i like, i video, i commenti. Tutto, tranne la stupidità. Quella affonda. Sempre.
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