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Il reportage/1
22 Febbraio 2024 - 06:00
Qualche giorno fa siamo entrati al Fenoglio di Settimo Torinese, uno dei centri di accoglienza più grandi e importanti del nord Italia. Un hub che, nel corso dei suoi 17 anni di vita, ha visto passare migliaia di persone. Abbiamo visitato il centro, l'abbiamo raccontato e ci siamo seduti per ascoltare le storie di chi è partito dall'Africa sognando l'Europa, l'Italia. Qui di seguito la prima storia.
Chi sei, da dove arrivi, quanti anni hai?
Sono Isaka, vengo dal Burkina Faso, ho 30 anni.
Da quanto tempo sei in Italia?
Sono in Italia da quasi un anno, sono arrivato a febbraio dello scorso anno.
Com'è stato il tuo viaggio da quella che era casa tua fino a qui?
Sono nato in un villaggio dove ci sono diverse culture, ci sono diverse famiglie, vivevamo tutti d’accordo. Adesso molte persone sanno che in Burkina Faso si lotta contro il terrorismo e così ho deciso di andarmene. Ho seguito gli amici passando Algeria, ero stanco ma mi hanno aiutato con incoraggiamenti e sono arrivato fino in Tunisia e poi in Italia.
E dalla Tunisia, via mare, sei arrivato a Lampedusa?
Si.
Hai mai avuto paura di non farcela?
No, ero convinto di arrivare.
In Burkina Faso avevi studiato?
Non ero andato a scuola nel mio paese. Ho iniziato a studiare qui, da 5 mesi. Ora sto facendo le medie, all’inizio era difficile, non sapevo scrivere, neanche leggere. Adesso sto facendo terza media, non ci credo ma ce la sto facendo. I maestri italiani sono divertenti e gentili.
Ti piace l'Italia?
Tantissimo.
Cosa ti piace dell'Italia?
Mi piace che sono diventato uno studente, prima non lo ero, mi piace tanto. Un'altra cosa: qua in Italia gli italiani mangiano pasta al forno, mi piace tantissimo.
Cosa ti manca del tuo paese?
In Burkina Faso ero un contadino, quel lavoro mi manca, mia madre mi manca. Quello che facevo mi manca, vivevo con tante persone che venivano a comprare qualcosa di me.
Hai parenti in Burkina Faso? Li senti?
Si.
Chi c'è lì?
Mia madre, mia moglie.
Hai figli?
Si. Mia figlia, 6 anni, mio figlio, quasi 3.
La tua idea è di portarli qui un giorno?
Si se sarà possibile, ci spero.
L'interno del centro Fenoglio
Uno dei principali elementi di crisi nel Burkina Faso (leggiamo su Affarinternazionali.it) è l’attività di gruppi di Islamisti jihadisti, legati ad Al-Qaida e allo Stato Islamico, che si macchiano di violazioni dei diritti umani e che di fatto controllano circa il 40% del territorio nazionale.
Il conflitto tra il governo e i jihadisti è iniziato nel 2016 e da allora la violenza è esplosa nel Paese, causando oltre 16 mila vittime.
L’instabilità e la violenza hanno provocato un alto numero di sfollati interni: al 2022, se ne stimavano quasi due milioni su una popolazione di circa ventidue. Il Paese ospita anche circa 23,000 rifugiati dagli stati confinanti, specialmente maliani, in campi profughi spesso esposti agli attacchi dei gruppi armati.
Intere città e regioni del Burkina Faso sono assediate dai jihadisti, frutto della strategia del terrore di questi gruppi, che intendono escludere migliaia di persone dalle comunicazioni con il resto del Paese e dall’accesso al cibo e ai servizi primari.
I bambini risultano particolarmente esposti a questa crisi: aumentano costantemente i casi di bambini costretti ad arruolarsi nelle milizie jihadiste e, con le scuole spesso bersaglio di attacchi terroristici – un istituto su quattro è fuori servizio-, oltre 350,000 bambini risultano esclusi dal sistema educativo.
La situazione nel Burkina Faso è legata al quadro di instabilità politica che caratterizza la regione del Sahel, afflitta da frequenti colpi di stato, guerre civili, scontri di natura etnica e religiosa, terrorismo ed eventi climatici estremi.
Ai fattori di crisi pre-esistenti, si sono aggiunte le conseguenze della pandemia da Covid-19, l’inflazione e l’aumento dei costi dei beni agricoli e alimentari.
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