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La storia
29 Maggio 2023 - 00:32
In un attimo può cambiare tutto. Un incidente in moto può rivoluzionare in negativo la tua esistenza. E allora devi reagire, e devi farlo non solo per te, ma anche e soprattutto per chi ti sta accanto. La potremmo schematizzare così la sinossi della storia che stiamo per raccontare.
Il protagonista si chiama Rosario Sperandini, oggi ha sessant'anni e di mestiere fa il responsabile territoriale della Viabilità della Città Metropolitana di Torino. Ha una moglie, Laura, e due figlie di 27 e 17 anni. Lo intervistiamo a casa sua a Villanova Canavese, dove vive con la famiglia. Rosario ha indosso una maglietta azzurra, con lo stemma dell'Italia e una scritta: Firaft. Capiremo tra poco cosa significa.
"Prima dell'incidente facevo lo stesso lavoro che faccio ora: avevo una vita normale, come tutti". L'incidente, racconta Rosario, "mi ha dato un'occasione per riscattarmi: non volevo essere considerato un invalido". Prima dell'incidente, guidava un'auto con cui svolgeva servizio di vigilanza: il suo lavoro era quello.
Dopo quel 18 luglio 2010 Rosario ha continuato a fare quel lavoro, con la stessa auto, pur con una protesi. Nonostante l'incidente avvenuto quel giorno. "Quell'incidente non doveva cambiarmi la vita" dice Rosario con decisione.
Rosario Sperandini durante la nostra intervista video
Quella mattina è domenica, e Rosario torna da un motoraduno con un amico. In sella alle loro motociclette, i due si avviano verso casa. All'altezza di Carmagnola, in pieno rettilineo, un'auto va addosso a entrambi. "Io l'ho vista arrivare, ci siamo schivati ma non è bastato: mi ha tranciato il piede di netto".
L'amico che viaggia nella moto dietro Rosario invece non ce la fa. L'impatto con l'auto, che ha solo sfiorato Rosario, per lui è invece letale. Oggi Rosario ricorda nettamente i momenti successivi all'incidente: "Da subito mi sono reso conto di quello che era successo, e sono rimasto cosciente fino a quando non mi hanno addormentato una volta arrivato al CTO".
Il team di rafting di Rosario (lui è quello a sinistra)
Ha capito subito che il piede non c'è più e che non sarebbe stato più possibile riattaccarlo. "I primi giorni in ospedale sei intontito, sai cos'è successo ma non ti rendi conto della situazione reale". Poi, col tempo, capisci. "Avevo due figlie piccole, e non potevo far pesare loro cosa mi era successo".
È in questo momento che in Rosario è scattato qualcosa. Lo stato d'animo cambia, e si apre uno spazio per la sfida. "Prima non facevo certe cose, ora invece ce la farei?". La domanda ha invaso i pensieri di Rosario nel corso di quei giorni.
Per rispondere partiamo proprio dalla sua maglietta e da quella sigla, Firaft. Partiamo da un incontro con quello che Rosario chiama Edy, l'amico che l'ha avvicinato al rafting: "Nel corso degli anni ho conosciuto tante persone amputate come me. Un giorno ne conobbi uno di Aosta e venni a sapere che suo fratello faceva la guida di rafting. Un giorno mi invitò a una gara e così dissi: vabbè, proviamo".
A Rosario il rafting piace. "Poi, l'allora presidente della Federazione Italiana Rafting (la Firaft per l'appunto) decise di creare un equipaggio di amputati per cercare di entrare nelle paralimpiadi: voleva far sì che il rafting diventasse sport olimpico". Rosario viene subito chiamato per far parte del progetto, e parte per Kiev con la sua squadra. Ad oggi, non solo milita nella Federazione, ma anche nell'associazione Movimento e Natura di Saluggia.
Il team di Rosario in una traversata del fiume
È il 2018, otto anni dopo l'incidente. "Inizialmente non è stato semplice, ma poi la cosa ci ha preso" sintetizza Rosario. Che prima dell'incidente, ci racconta, non era solito fare sport di alcun tipo. Lo sport è diventato quindi per lui uno strumento di rivalsa, un mezzo di affermazione del coraggio della ripartenza.
Oggi Rosario ne va particolarmente fiero, anche perché il palmarès è abbastanza ricco: ori e argenti non mancano, e tanti altri ne arriveranno. Il prossimo appuntamento è dal 26 giugno al 2 luglio in Valtellina. Trentotto nazioni parteciperanno, tutte accomunate dalla passione per questo sport.
E proprio allo sport Rosario deve molto: "Quando lo facciamo, ci dimentichiamo di essere disabili". Nonostante la seduta sul gommone e l'attraversamento del fiume siano comunque complessi per un atleta amputato. La stabilità sul gommone è minore così come è complesso camminare sugli scogli con una protesi dopo aver attraversato l'impetuoso corso d'acqua.
Ciononostante, quel gommone è diventato per Rosario un mezzo di libertà. Che le cose stiano così è eloquente dai video che si trovano sui profili Facebook della Federazione.
Quattro persone che si lanciano per un fiume sprezzanti del pericolo, potendo tra l'altro contare solo sulla stabilità del gommone e sulla propria forza fisica. A guardarli, si percepisce la loro felice spericolatezza, così come quel senso di "programmata incoscienza" che solo gli atleti possono spiegare.
Ma c'è di più: "Per come lo pratichiamo noi, il rafting è estremamente inclusivo: quando facciamo le gare siamo tutti un'unica squadra assieme ai normodotati. Siamo un'unica famiglia". Parola d'ordine inclusione.
Ma oltre a quei momenti di sport e di passione, il post-incidente ha imposto a Rosario una nuova quotidianità e altre sfide da affrontare. "Per me la moto era una grande passione - ci racconta - e pensavo che dopo l'incidente non sarei riuscito a risalirci di nuovo. Poi non volevo dare a mia moglie e alle mie figlie un altro problema".
E invece no, Rosario ha superato anche questo limite. Ma mentre ce lo sta per raccontare, a subentrare è la commozione. Ci fermiamo un secondo, Rosario volge lo sguardo alla moglie Laura, che siede poco distante da lui. Ciò che è successo in quei giorni ce lo racconta lei.
"Visto che non avere una moto lo faceva soffrire, ho detto alle mie figlie: 'Alzi una mano chi vuole che papà torni in moto'. E l'abbiamo alzata tutte e tre". E così Rosario è tornato in sella. "Riuscire a risalire su una moto normale, non riadattata, con una protesi e riuscire a farlo con mia moglie non è da tutti, e ce l'ho fatta" ci dice Rosario con l'orgoglio che accompagna le sue parole.
Insomma, la storia di Rosario è una di quelle che merita di essere raccontata. Lui lo sa e non disdegna di farlo. Va nelle scuole e spiega ai ragazzi che la vita può cambiare in un secondo. Che si può cadere ma che ci si può anche rialzare. "Non ti devi demoralizzare, perché se ci credi puoi riscattarti e tornare a fare tutto" riassume Rosario.
Fondamentale, nel processo di riabilitazione, è stato il ruolo della famiglia e della comunità del paese. Quest'ultima si è stretta attorno alla moglie e alle figlie dopo l'incidente, dando loro una grande mano. La famiglia, invece, ha sostenuto Rosario nelle sue sfide. Perché certe prove della vita si superano solo assieme.
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