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Il cardiochirurgo Marco Diena si racconta: l'infanzia ad Ivrea, il nonno medico, i successi internazionali

Il dottor Diena è cardiochirurgo di fama internazionale, nel board del prestigioso Mitral Conclave e responsabile dell'Unità di Cardiochirurgia dell'Irccs Policlinico San Donato

Il dottor Marco Diena, orgoglio eporediese, orgoglio italiano, è cardiochirurgo di fama internazionale. Non solo bravura, quella dei primi, ma passione per il suo lavoro e attenzione per il paziente sono i pilastri del suo successo professionale.

Nasce ad Ivrea nel 1960. Vive in città con la famiglia fino all'età di 10 anni. E se qualcuno dovesse credere che abbia vissuto qui troppo poco per per aver sviluppato un attaccamento al territorio, sbaglierebbe. E di molto.

Marco Diena da bambino con i genitori e il fratello, negli anni in cui vivevano ad Ivrea

"L'infanzia è stata fondamentale per la mia formazione di medico - racconta -. L'ho scritto anche nel libro che ho scritto. E questo non solo perché mio nonno era medico. Vorrei ricordarlo proprio oggi, 27 gennaio, nel Giorno della Memoria. Lui era ebreo e purtroppo durante la Seconda Guerra fu deportato dai tedeschi a Flossenbürg (un campo di concentramento nazista situato a circa metà strada fra Norimberga e Praga, Ndr)". 

Degli anni ad Ivrea racconta: "Sono cresciuto nell'ambiente Olivetti quando c'era un welfare aziendale straordinario e credo vada riproposto anche alle aziende di oggi, questo modello di welfare. Purtroppo, invece, non lo vediamo più, se non raramente. Questa attenzione estrema alla qualità del lavoro in tutti i settori, oggi non si vede più. Ivrea è un esempio al mondo. Con Adriano Olivetti e con tutto l'assetto che aveva la dirigenza è stato un assetto straordinario. Noi eravamo seguiti e coccolati in modo unico al mondo. E' un esempio che andrebbe seguito anche oggi e invece si è perso"

La sua passione per la medicina, da quello che ci ha raccontato, è una passione di famiglia. Ma quella per per la cardiochirurgia, come nasce?

"Nasce dalla lettura di un libro di Professione Uomini in cui veniva riportato l'esempio di alcuni medici, tra cui il dottor Schweitzer in Africa. Mi sono appassionato così alla cardiochirurgia che è una disciplina molto difficile e molto impegnativa. Ma anche entusiasmante. Una sfida di tutti i giorni. Questo libro parlava di alcuni medici esemplari. Come lo era il nonno e questa è stata un po' la guida che mi ha portato a fare il cardiochirurgo"

Marco Diena si laurea a 25 anni in Medicina e Chirurgia nel novembre 1985, presso l’Università di Torino con una tesi sperimentale sul trapianto cardiaco eterotopico con voti 110 e lode e dignità di stampa.

Nel 1995, a 35 anni, diventa a Torino il più giovane primario cardiochirurgo in Italia, e con il Cardioteam riduce le liste d’attesa in Piemonte da sei mesi a tre settimane, con risultati pari ai migliori centri statunitensi. 

Quali sono le tecniche mininvasive e le tecnologie oggi disponibili nel campo della cardiochirurgia?

"Con il Cardioteam siamo stati antesignani nell'organizzare un lavoro di squadra. Non solo il chirurgo. Il chirurgo è importante, ma è importante l'aiuto, il cardio anestesista, il cardiologo, l'equipe infermieristica è fondamentale per il risultato conclusivo dell'intervento e della cura del malato. Questo team ha avuto un grande successo già a Torino. Le liste d'attesa, che erano di più di 6 mesi, siamo riuscite a ridurle a qualche settimana. E questo è stato un grosso contributo che abbiamo dato alla Sanità Piemontese".

Un anno dopo la laurea, il dottor Diena è assistente cardiochirurgo a Nizza (Francia), allievo del professor Vincent Dor, dove si è perfezionato in cardiochirurgia coronarica, dell’aorta e mitralica, apprendendo tecniche allora sconosciute in Italia. Aa 27 anni è in sala operatoria 12 ore al giorno su interventi cardiaci, toracici e vascolari.

Nel 2001 esegue con i colleghi M. Cassese e G. Martinelli i primi interventi al cuore con il robot “da Vinci” e si specializza in chirurgia endoscopica.

"Siamo stati i primi in Italia a fare l'intervento di bypass endoscopico, imparando dai francesi. E tra i primi a fare interventi con il robo "da Vinci" e a fare una scuola, dei corsi di chirurgia robotica. Come cardioteam siamo stati molto all'avanguardia fin dagli anni Duemila".

Cosa significa per lei essere stato tra i primi cardiochirurghi in Italia ad utilizzare queste tecniche?

"Vuol dire che andando verso una chirurgia sempre meno invasiva. Sempre più leggera per il paziente. Qualche esperto ha detto che si trasferisce il dolore dal paziente al chirurgo. Nel senso che l'intervento è meno invasivo, ma il chirurgo dev'essere molto allenato ad usare gli strumenti endoscopici. Questo vuol dire che ci vuole un grande allenamento, una grande dedizione. Grande applicazione a questo tipo di chirurgia. Infatti la facciamo in pochi".

Quali sono gli evidenti vantaggi della chirurgia mininvasiva?

"E' sempre più richiesta. E' logico trattandosi di una chirurgia molto più leggera con una ripresa molto più veloce, più rapida, molto meno traumatica. Le persone riprendono molto più rapidamente, hanno meno necessità di avere delle trasfusioni. Abbiamo dei grandi atleti, degli agonisti che hanno fatto degli inteventi sulla mitrale o sulla valvola aortica. Qualcuno è paracadutista, altri campione di ultra trail. Ci sono anche persone che fanno sport estremi che sono in grado di riprendere a fare anche dopo l'intervento al cuore, dopo pochi mesi. E' fondamentale riuscire a tornare ad una vita normale, ad una vita sportiva, una vita attiva nel più breve tempo possibile".

Per quali patologie è possibile intervenire con procedure mininvasive?

"Soprattutto per la chirurgia della valvola aortica e quella della valvola mitrale, che sono le patologie ormai più frequenti. Le patologie coronariche vengono trattate sempre di più con le tecniche di stanting e di angioplastica. La non invasività consente di fare interventi sempre più leggeri. Adesso, da diversi anni, siamo in grado di fare un impianto della valvola aortica percutanea, attraverso l'arteria femorale. Una procedura che non richiede nemmeno l'intervento chirurgico. Questo, tanti anni fa, era impensabili. La tecnologia ci ha seguito in modo straordinario. E' davvero un evento eccezionale, ma ormai di routine, poter impiantare una valvola attraverso un'arteria femorale con il paziente soltanto leggermente sedato. Senza nemmeno l'anestesia generale con grande vantaggio per i clienti. Soprattutto quelli anziani".

Negli anni Novanta il policlinico San Donato diventa il primo centro di cardiochirurgia in Italia. Sia per numero che per risultati. 

"Mi sono formato lì - racconta Marco Diena -. Si facevano tremila, quattromila interventi all'anno. E quando siamo venuti a Torino è stato lo spin off dell'esperienza di San Donato. In tre chirurghi e due anestesisti siamo partiti per aprire questo centro a Torino. Qui abbiamo realizzato più di 6mila interventi in 5 anni. E questa è stata la grande scuola di San Donato che abbiamo portato in Piemonte". 

Tre anni fa il ritorno al Policlinico San Donato

"Mi hanno richiamato per riportare tutte le esperienze di questi anni del Cardioteam a Torino in questo grande centro, molto attrezzato. Davvero un centro straordinario". 

Nel 2023 il dottor Diena è entrato nel board del prestigioso Mitral Conclave.

"E' un riconoscimento non solo personale, ma un riconoscimento per la medicina e la cardiochirugia italiana. Un riconoscimento del lavoro fatto in tanti anni. Noi siamo a New York già dal 2011 ogni due anni a presentare la nostra esperienza. E loro che sono molto meritocratici anche nel campo della medicina e della chirurgia, hanno riconosciuto che la nostra esperienza è di valore internazionale. Infatti stiamo organizzando dei corsi di formazione per cardiochirurghi sulla mininvasiva e la chirurgia endoscopica proprio a livello internazionale. Un grande riconoscimento non solo personale, ma proprio per la medicina e la cardiochirurgia italiana". 

Sul suo sito web, alcuni video raccontano le sue due passioni: la vela e la montagna. Fanno bene al cuore?

"Facciamo un lavoro molto stressante, con casi molto difficili da risolvere. E' importante trovare il momento per scaricare la tensione. E' necessario anche fare dell'attività sportiva. Sia come scuola che come resistenza. Il cardiochirurgo deve avere una buona resistenza fisica. Nei casi in cui gli interventi dovessero prolungarsi dev'essere sempre allenato, addestrato e con la mente pronta. Ed essere sempre fresco nelle decisioni da prendere"

"La montagna è una grande scuola di vita - racconta - e anche professionale. Io consiglierei ad ogni cardiochirurgo di fare i corsi di roccia come ho fatto io a 18 anni perché ti insegnano ad osare, ma non osare troppo, conoscere i propri limiti e a sfidare la montagna. Poi per me le sfide sono passate dagli oceani alle montagne alla sala operatoria. Sfide sempre molto ben ponderate, meditate, discusse insieme ai colleghi". 

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