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14 Luglio 2021 - 10:51
VERRUA SAVOIA. “Quando mi sono trasferita qui, ero abituata ad un altro tipo di vita. Venivo da un paese dove ci si incontra quando si cammina per strada, mentre la realtà della nostra comunità è un po’ diversa.
Mi sono innamorata di Verrua Savoia un po’ per volta e, oggi, devo ammettere che non vivrei in nessun’altra parte del mondo”.
Raffaella Deriu è una verruese d’adozione. Dal 2016 è presidente della Pro loco, l’associazione turistica locale che promuove la festa patronale e varie altre iniziative di valorizzazione delle tradizioni e del senso di comunità.
Di Verrua Savoia s’è innamorata, come tutti, prima di ogni altra cosa, per i suoi straordinari panorami.
Con i suoi 31,91 chilometriquadrati di superficie, questo centro alla periferia orientale della provincia di Torino, adagiato sulla collina che sovrasta la piana vercellese e l’ultimo lembo di quella torinese, è una cartolina da qualsiasi prospettiva lo si guardi.
Una cartolina che si sublima nella vista a 360 gradi dalla Fortezza: una panoramica che mette insieme la collina chivassese e torinese, il tratto del Po in cui attraversa i comuni di Verolengo e Crescentino fino al vercellese, le Alpi, dal Monviso alla Valle d’Aosta, il Canavese e il Monferrato. Una finestra sul Piemonte è quella che si apre a chi sale a Verrua Savoia nelle soleggiate e calde giornate di primavera e d’estate, quando il cielo è più limpido e la foschia è spazzata via da una brezza leggera.
“Mi sono innamorata di Verrua Savoia - prosegue la presidente della Pro loco - per l’aria che si respira e per la possibilità di creare e di vivere ciò che uno vuol vivere: tranquillità, ma anche condivisione. C’è un ambiente in certi momenti di festa in cui è Verrua stessa la festa”.
Uno di questi momenti sarà domenica prossima, 18 luglio, alle ore 10, quando si terrà l’inaugurazione della nuova piazza di località San Giovanni intitolata all’agente di polizia Francesco Alighieri, originario proprio di Verrua Savoia e scomparso sul lavoro nel 2008.
“Il Comune che amministro - spiega il sindaco Mauro Castelli, eletto due anni fa, nel 2019 - offre tanti spunti ai suoi visitatori. Oltre ai panorami, ci sono i prodotti tipici, come le fragole e le nocciole”.
“A Cascina Loreto, nell’omonima località - spiega la vice sindaca Romina Valesio - c’è un noccioleto i cui frutti vengono impiegati dall’azienda agricola per produrre ottime torte di nocciole”.
Mentre al Monte Pier Bruno Baracchini del Girapoggio,ha una vigna dove si produce Barbera doc. “Il nostro vino ha una bassa acidità, con caratteristiche tipiche del territorio dove cresce l’uva”, spiega Baracchini.
“A Verrua abbiamo i sentieri, curati dai volontari, che attraversano boschi meravigliosi”, aggiunge il sindaco. Per chi ama le passeggiate nei boschi c’è infatti l’interessante camminata lungo il percorso che conduce alla “Rul Verda”, un raro ed interessante albero ibrido sempreverde di cui esistono pochissimi esemplari in Piemonte (info: www.comune.verruasavoia.to.it).
A Verrua, poi, c’è anche e sopratttutto la Fortezza.
“Questo è il posto che più di tutti all’interno del territorio verruese è entrato nei cuori dei visitatori con i suoi mille anni di storia - spiega la guida Enrico Giacomasso -. La Fortezza è visitabile il venerdì (orario 16-23), il sabato e la domenica (orario 11-23), con il suo museo, il ristorante e il bar”.
Chiesa di Santa Lucia di Siracusa (Fraz. Sivrasco)
Edificata nel 1695, nello stesso sito di una preesistente cappella dedicata alla Madonna del Carmine, dove, secondo la tradizione, convenivano moltissimi fedeli ad impetrare grazie.
Chiesa di San Pietro (Fraz. Collegna)
La chiesa di San Pietro sorge su un’amena altura denominata Collegna, accanto ad un gruppo di case disposte lungo il clinale della collina. Già elencata nel registro delle decime del 1299 e di quello delle investiture del 1299, rimase pressoché una semplice “cura”, fino al 10 aprile 1747, quando, dopo un lungo contenzioso, fu eretta in parrocchia.
Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista
L’antica parrocchiale di Verrua ebbe sede sino al 1705 all’interno del borgo del castello. In quell’anno, a seguito della presa del forte da parte dei francesi, fu distrutta con le mine dal governatore Bouffier.
La riedificazione ebbe inizio solo dopo 52 anni e, nel frattempo, la comunità verruese utilizzo quella di Sanctii Ianuarii de Mairolio sita nei pressi del cimitero che porta il suo nome.
L’inizio dei lavori avvenne nel 1749 dopo aver superato numerosi ostacoli, fra i quali l’opposizione del Conte Scaglia, contrario al suo trasferimento nel cantone di Moleto. Il progetto fu eseguito dal biellese Andrea Levis e la costruzione fu affidata al capomastro milanese Matteo Ronco mentre pievano di Verrua era Giovanni Antonio Bellotto. La chiesa venne consacrata ed aperta al culto il 2 settembre 1759.
Chiesa parrocchiale di San Sebastiano (Fraz- Sulpiano)
La costruzione della Chiesa di San Sebastiano venne progettata tra il 1760 ed il 1763, quando il parroco propose di mettere in esecuzione il trasferimento della vicina parrocchia di Rioglio, ormai cadente, nella borgata Sulpiano.
Chiesa di San Giacomo (Frazione Cervoto)
La Chiesa di San Giacomo Apostolo di Cervotto, già sotto il titolo di San Cristoforo, unita alla cura di Collegna, venne eretta in parrocchia autonoma con decreto del Vescovo di Vercelli del 9 giugno 1766.
La rocca di Verrua, sulla quale rimane una parte delle antiche fortificazioni, è citata per la prima volta nel diploma d’infeudazione dell’Imperatore Ottone III del 7 maggio 999 al Vescovo di Vercelli, confermato successivamente il 7 aprile 1027 da Corrado il Salico. Nel secolo XI abbiamo ancora un documento di conferma al vescovado vercellese di Enrico III del 17 novembre 1054 ed infine un privilegio del 4 luglio 1083 concesso da Enrico IV, durante le lotte per le investiture.
Nel 1152 il “castrum” si trova inserito nel diploma di Federico Barbarossa, col quale riconferma alla chiesa vercellese tutti i beni territoriali concessi dai suoi predecessori. Le fortificazioni ed il borgo verranno distrutti dallo stesso Barbarossa nel 1167, allorché il governatore del castello si rifiutò di aprire le porte all’imperatore, proveniente da Roma, dove aveva insediato l’antipapa Pasquale III.
L’importante posizione strategica del castello, attorno al quale digradava il borgo entro il ricetto, denominato “in casto plano”, indusse i marchesi di Monferrato ed i Conti di Savoia ad una lunga contesa per assoggettare ai loro domini tale baluardo che controllava la pianura sottostante e le vie di comunicazione per Torino Vercelli ed Asti.
La concessione del 1315 del vicino borgo di Crescentino a Riccardo Tizzoni, capo della fazione imperiale di Vercelli, costrinse il vescovado, tra il 1319 ed il 1328, a rifortificare il castello, impiegando un’ingente somma di denaro. Durante le lotte che caratterizzarono la seconda metà del secolo XIV il castello assunse un importante ruolo difensivo della giurisdizione episcopale fino alla sua caduta definitiva nelle mani dei Savoia nel 1379.
L’occasione fu offerta dalle intemperanze del Vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi, il quale fu fatto prigioniero dai biellesi e, poco dopo, consegnato per la custodia al capitano Ibleto di Challant, signore di Montjovet. In quello stesso periodo la comunità di Verrua, assediata dal Marchese di Monferrato, strinse una lega col Conte Amedeo VI, cosicché l’assedio fu tolto e Verrua rimase sotto i savoia.
Nel giugno 1387, durante la sollevazione dei Tuchini del Canavese, il Marchese Teodoro II Paleologo di Monferrato tentò nuovamente di occupare Verrua per aprirsi la via nella pianura, oltre il Po, dove aveva già alcuni borghi sottoposti alla sua giurisdizione. Per la prima volta abbiamo notizia di “bombardes” che sparavano pietre e ciottoli contro il castello. Dopo due mesi di accanita resistenza, giunse il Conte di Savoia con le sue truppe, costringendo il Marchese a togliere l’assedio. Fu durante questo fatto dìarmi che nacque il motto:
“Quand che ‘l ver pijrrà cost’ua, ‘l marcheis dal Monfrà ‘l pijrrà Vrua” (quando il porco prenderà l’uva, il Marchese di Monferrato prenderà Verrua), prendendo spunto dal sigillo araldico del 1378, raffigurante un porco che cerca di azzannare un grappolo d’uva.
Questo ironico motto verrà poi modificato ed utilizzato successivamente durante l’assedio degli spagnoli (1625) e dei francesi (1704).
Nel 1500, il castello venne infeudato a Renato, il grande Bastardo di Savoia, figlio illegittimo di Filippo II, detto “il senza terra”. Nello stesso anno, Renato sposò Anna di tenda, unica figlia del Conte Giovanni Lascaris, dalla quale ebbe due figli: Claudio e Onorato.
Costoro, insieme alla madre, nel 1534 vendettero il castello ai fratelli Gherardo e Stefano Scaglia di Biella. Il borgo fu eretto in contado nel 1561 e, da quell’epoca, fu tenuto fino al 1781 dagli Scaglia, quali feudatari sabaudi. L’importanza del forte non sfuggì a Emanuele Filiberto che restaurò il castello, aggiungendo ulteriori fortificazioni. Le opere difensive furono proseguite dal figlio Carlo Emanuele I verso il 1590 e ancora nel 1617.
Il primo grande assedio sostenuto dal forte di Verrua fu quello del 1625, quando il Duca di Savoia si alleò con la Francia contro la Spagna e l’Austria. Fu proprio sul principio del mese di agosto di quell’anno che il Duca di Feria, governatore spagnolo di Milano, dopo il vano tentativo di occupare Asti, marciò su Verrua, sicuro di conquistarla in tre giorni, come lui stesso scrisse nelle sue relazioni epistolari con la corte spagnola. L’esercito imperiale giunse davanti alla rocca forte di 25.000 fanti, 5.000 cavalli e 20 cannoni.
Carlo Emanuele I ebbe appena il tempo di introdurre nella fortezza un reggimento di 1.200 fanti, comandato dal Conte di Saint Reran. Per tre mesi l’esercito imperiale tentò invano di impadronirsi del castello, sferrando quotidianamente bombardamenti d’artiglieria.
Il presidio resistette fino allo stremo delle forze, continuamente incitato dal Duca e dal Figlio Vittorio Amedeo che si erano accampati col grosso delle truppe alle falde della rocca, sulla riva sinistra del Po, per sostenere e rifornire gli assediati, mediante un ponte di barche.
Il 17 novembre l’esercito spagnolo, stanco e disfatto, fingendo un ultimo disperato attacco, si diede precipitosamente alla fuga, dopo aver perso in tre mesi oltre 10.000 uomini. Dalle minute del Duca di Savoia al suo Ambasciatore di Parigi, le perdite sabaudo – francesi risultano di circa 8.000 uomini. Nella stampa settecentesca della rocca, inserita nel “Theatrum Sabaudiae”, il Duca farà aggiungere sul cartiglio: “Exigua et celeberrima”.
Il secondo grande assedio avvenne nel 1704, durante la guerra contro i Francesi. Luigi XIV, com’è noto, aveva incaricato il generale duca di Vendome di riconquistare il Piemonte. Vittorio Amedeo II si alleò questa volta con la Spagna e con l’Impero Asburgico contro la Francia. Le terre piemontesi divennero teatro di battaglia.
Le città più importanti, tra cui Susa, Aosta, Biella, Ivrea e Vercelli erano già cadute in mano al nemico. Rimaneva soltanto più Torino. Ma prima di marciare su di essa, il Vendome decise di togliere di mezzo Verrua. Il 14 ottobre 1704 l’esercito francese composto da 46 battaglioni, 47 squadroni, 48 cannoni e 13 mortai, strinse d’assedio la fortezza. Il castello era difeso solo da 5.000 uomini, comandati dal conte de la Roche d’Allery. L’attacco fu violentissimo. L’artiglieria tuonava da tutte le parti.
La rocca però, dopo quattro mesi resisteva ancora. Il 14 marzo 1709 il Vendome inviò i suoi rappresentanti nel castello per chiederne la resa, rifiutata però dal nuovo Comandante, Colonnello de Fresen, succeduto al d’Allery ferito. La sera dell’8 aprile i 1.241 superstiti, senza più né acqua, né viveri, nonostante le minacce del Vendome, fecero saltare le tre punte dei bastioni, asserragliandosi nel’interno del mastio. Vittorio Amedeo II, non potendo più soccorrere gli assediati, il 6 aprile diede ordine al governatore del forte di trattare coi Francesi.
La guarnigione, dopo avere ottenuto la promessa dell’onore delle armi, si arrese. Ma ormai lo scopo era raggiunto. Le città cadute insorsero e, con l’azione di Pietro Micca, nonché l’intervento del principe Eugenio di Savoia, il Piemonte venne liberato dai francesi.
L’assedio di Verrua, non solo aveva logorato le forze francesi, ma aveva ritardato l’attacco decisivo su Torino, salvando il Piemonte. Nei sei mesi d’assedio caddero sotto la rocca, secondo le stime del Solaro della Margarita, 12.000 soldati, 6 generali, 547 ufficiali e 30 ingegneri di guerra.
L’imponente complesso fortificativo che raggiungeva il borgo di Carbignano, come viene raffigurato nelle stampe settecentesche, venne demolito nel 1707. Il castello, nel periodo napoleonico e risorgimentale, rimase come presidio dei soldati invalidi. La proprietà passò dai Conti Provana del Sabbione ai Marchesi d’Invrea. Questi ultimi, lo vendettero nel 1957 a privati per l’estrazione della calce.
Purtroppo, lo stato di abbandono del forte, il crollo del picco, (1957) e le sistematiche perforazioni della collina adiacente, hanno cancellato buona parte del sito fortificativo su cui sorgeva la “Torrazza” e lo stesso borgo, alterandone il paesaggio.
La stessa “pozza”, fatta costruire da Madama Reale nell’interno del forte, avente un diametro di circa tre metri e profonda oltre cento, è stata coperta da detriti.
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