La Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per il professor Giovanni Muto, responsabile del reparto di urologia di Humanitas Gradenigo. Il medico è indagato per il decesso di una paziente di 73 anni, il 15 novembre 2017, a seguito di un intervento di asportazione del rene sinistro per recidiva tumorale. L'accusa è di omicidio colposo. La donna sarebbe morta per un'emorragia a seguito di "una lesione dell'arteria renale sinistra". La paziente deceduta era già stata operata dal professor Muto, due anni prima in un altro ospedale, sempre per un tumore al rene sinistro. Il pm Alessandro Aghemo contesta a Muto, luminare nel campo della chirurgia urologica, di aver eseguito l'intervento in una sala del Gradenigo di Torino sprovvista degli strumenti per la chirurgia vascolare, di aver adottato un approccio laparoscopico che non gli avrebbe permesso di valutare la fragilità della parete dell'aorta e di non aver interpellato sin dall'inizio un chirurgo vascolare, chiamato in un secondo momento dalla clinica Cellini. "Siamo certi che nel processo emergerà l'assoluta correttezza dell'operato del professore e l'impossibilità di prevedere o prevenire ciò che è accaduto - dichiara il difensore di Muto, l'avvocato Gian Maria Nicastro - L'esperienza del professor Muto è talmente vasta e pluriennale che non ci sono dubbi sull'esito di questa vicenda". La famiglia dell'anziana è rappresentata dall'avvocato Alessandro Di Mauro. Il professor Muto ha svolto l'intervento secondo procedure cliniche corrette, definite sulla base della valutazione delle condizioni cliniche della paziente". Lo precisa una nota di Humanitas Gradenigo in merito alla richiesta della procura di Torino di rinviare a giudizio il responsabile del reparto di urologia con l'accusa di omicidio colposo. "Durante l'intervento un sanguinamento importante non prevedibile - scrive Humanitas - ha reso necessario passare dalla tecnica laparoscopica a una tecnica 'open'. Tale complicazione, verificatasi in un caso già complesso, con una pregressa patologia tumorale, ha però reso vani tutti gli interventi di sutura dell'equipe chirurgica per stabilizzare le condizioni della paziente, ivi compreso l'impianto di una protesi dell'arteria renale". "L'intervento del chirurgo vascolare è stato richiesto non appena si è riscontrata l'inefficacia di ogni intervento di sutura messo in atto - precisa ancora Humanitas -. In sala operatoria non era prevista la presenza del chirurgo vascolare perché la natura dell'intervento non lasciava in alcun modo presagire tale necessità". La direzione sanitaria del Gradenigo si dice "a disposizione dell'autorità giudiziaria per ogni collaborazione".
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