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Cronaca
04 Febbraio 2025 - 17:08
Un’accusa di abusi sessuali su minori sta sconvolgendo la Val Sangone, una tranquilla comunità rurale alle porte di Torino. Un ventiquattrenne è finito sotto processo con l’accusa di aver abusato per tre anni di due bambine di nove e undici anni, con le quali condivideva spazi e legami familiari. Per lui, il pubblico ministero Barbara Badellino ha chiesto una condanna a nove anni di reclusione, sottolineando la gravità delle accuse e il devastante impatto psicologico sulle vittime.
La vicenda si inserisce in un contesto familiare complesso, in cui l’imputato, difeso dall’avvocato Marco Zani, era considerato “uno di famiglia”. Per una delle bambine era lo zio, per l’altra un fratellastro acquisito, figlio del nuovo compagno della madre. Questa condizione di promiscuità familiare avrebbe permesso all’accusato di condividere la stanza da letto con le due bambine, creando un ambiente in cui gli abusi sarebbero potuti passare inosservati per anni.
A spezzare il silenzio è stata una zia coraggiosa, che nel 2021 ha ricevuto le confidenze delle bambine. Due anni prima, nel 2019, le piccole avevano già accennato a molestie subite con parole inquietanti: “Lo zio ci dà fastidio”. Nessuno, però, aveva colto la gravità della situazione. Quando la donna ha finalmente compreso l’entità degli abusi, ha deciso di raccogliere prove schiaccianti, registrando le confessioni delle bambine e consegnandole agli inquirenti.
Le registrazioni audio sono state determinanti per l’apertura dell’inchiesta. Dopo aver consultato il Servizio Bambi dell’Ospedale Regina Margherita, specializzato nella tutela dei minori vittime di abusi, la zia ha inviato i file audio alle forze dell’ordine, permettendo agli investigatori di avviare accertamenti. Le due bambine, nel frattempo, sono state allontanate dal contesto familiare e affidate a una comunità protetta. Oggi sono rappresentate in tribunale dall’avvocato Emanuela Martini.
Durante il processo, la madre di una delle vittime ha fornito un dettaglio inquietante che spiegherebbe come gli abusi siano potuti avvenire per tre anni senza che nessuno se ne accorgesse. I bambini dormivano insieme in un letto grande, mentre l’imputato riposava in un letto singolo nella stessa stanza. Questa disposizione avrebbe permesso all’uomo di avvicinarsi alle bambine senza suscitare sospetti immediati.
Il caso ha lasciato sgomenta la comunità della Val Sangone, sollevando interrogativi sulla capacità delle famiglie e delle istituzioni di proteggere i minori in contesti familiari complessi. Come è possibile che segnali di disagio così evidenti siano stati ignorati per tanto tempo? Perché la denuncia è arrivata solo dopo anni di silenzio?
Il pubblico ministero, nel chiedere una condanna esemplare, ha evidenziato la gravità delle accuse e le devastanti conseguenze psicologiche sulle due bambine, costrette a subire violenze in un ambiente che avrebbe dovuto proteggerle. Il processo, seguito con grande attenzione, non rappresenta solo un passaggio giudiziario, ma anche una riflessione collettiva sulle mancanze di un sistema che spesso non riesce a prevenire o individuare situazioni di pericolo per i più piccoli.
Mentre si attende il verdetto, la speranza è che la giustizia possa fare il suo corso, restituendo alle vittime almeno un senso di riconoscimento per il loro dolore. In una società che proclama la tutela dei minori come una priorità assoluta, questo caso rappresenta un monito su quanto ancora ci sia da fare per garantire a ogni bambino un ambiente sicuro e protetto.
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