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06 Marzo 2023 - 17:24
In foto Il prevosto Domenico Gobetto, fautore del mutualismo cattolico in Settimo Torinese
Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo seguente, una funzione non secondaria svolse, in molti grandi e piccoli centri del Piemonte, l’associazionismo mutualistico di matrice cattolica, solo parzialmente studiato dagli storici. Emblematico è il caso di Settimo Torinese, anche se, essendo irreperibili troppe fonti documentarie, risulta impossibile valutarne l’effettivo peso all’interno della società locale. Di certo si sa che fu il giovane prevosto Domenico Gobetto – nato a Gassino nel 1862, dal 1889 responsabile della parrocchia di San Pietro in Vincoli – a spingere il laicato sulla via dell’impegno attivo nella società.
Condannando il socialismo che attizza «nei poveri l’odio ai ricchi», sostenendo il valore della collaborazione fra le classi e riconoscendo il ruolo delle società operaie di mutuo soccorso («è desiderabile che crescano di numero e di operosità»), l’enciclica «Rerum Novarum» (Delle cose nuove, 1891) di Leone XIII suscitò non pochi entusiasmi. Di lì a tre anni, stando alla relazione redatta per la visita pastorale dell’arcivescovo Agostino Richelmy, si costituì, in Settimo, l’Unione cattolica operaia, la quale svolse, presumibilmente, pure attività mutualistiche e assistenziali a beneficio dei lavoratori e delle loro famiglie.
in foto L’enciclica Rerum Novarum che favori l’ organizzazione sociale dei cattolici
I principi ispiratori dell’Unione di Settimo non dovevano discostarsi troppo da quelli dell’Unione di operai cattolici sorta in Torino nel 1871 per iniziativa del sacerdote Leonardo Murialdo (1828-1900) e il cui primo regolamento conteneva poche norme restrittive affinché fosse adottabile in tutta la penisola. Lo scopo delle Unioni era di «dare appoggio ai cattolici operai, industriali, artisti e negozianti, mantenendo vivo in ciascuno il sentimento religioso e promuovendo quelle opere che meglio concorrono all’uopo e specialmente al mutuo soccorso». Però le iniziative promosse dai singoli organismi erano assai diversificate. In alcuni luoghi prevalse la componente spirituale e caritativa (forse fu questo il caso di Settimo); in altri si puntò maggiormente sull’assistenza e sulla mutualità. Comunque fu sempre bandita ogni forma di rivendicazione attiva.
Dopo i successi conseguiti dalle forze di sinistra che avevano trovato nel giovane Domenico Aragno (presidente della Società operaia dal 1907 e sindaco del paese fra il 1910 e il 1914), un rinnovato impegno segnò l’attività dei cattolici settimesi. «Siamo […] all’inizio di un movimento di azione sociale che speriamo darà presto ottimi frutti», informò il quotidiano cattolico «Il Momento» nel gennaio 1910. Una «bellissima predica […] nella chiesa affollata di popolo» fu seguita da due applaudite conferenze, di cui una sull’Unione rurale. «Ora – spiegò l’articolista – si sta lavorando per costituire l’Unione degli agricoltori di Settimo. Così anche il nostro paese avrà il suo germe di organizzazione che non mancherà di portare buon frutto».
Il carattere confessionale, l’obbedienza alla gerarchia ecclesiastica e un programma solidaristico moderato accomunavano tutte le Unioni cattoliche. Al fine di conservare la pace fra le classi si attribuiva la massima importanza alla formazione religiosa e morale degli associati. Il riferimento alla cultura del mondo agricolo implicava un forte richiamo alla tradizione e la condanna delle storture sociopolitiche dilagate con l’industria. Tuttavia – dovette ammettere un po’ tardivamente il quotidiano cattolico nel 1914 – Settimo non era «più il centro pacifico di una buona popolazione di agricoltori, di lavoranti in fabbriche e di lavandai». Si spiega così quell’attenzione privilegiata verso i contadini, ancora depositari degli antichi valori, che più volte scatenò le ire dei socialisti, come accadde nel gennaio 1908 per la festa di Sant’Antonio Abate, patrono delle campagne («il parroco ha pensato bene di trasformare la chiesa in un arringo politico; […] salito sul pulpito, ammanì [sic] all’uditorio nientemeno che una conferenza antisocialista», denunciò il periodico «Il Grido del Popolo»).
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