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Norma Cossetto, una storia italiana, una vita spezzata

L’orribile fine di Norma Cossetto continua a interpellarci in questi nostri tempi distratti e dissennati...

IN FOTO Al centro, Armando Harzarich c he recuperò, nel dicembre 1943, il corpo della studentessa dalla foiba di Villa Surani

IN FOTO Al centro, Armando Harzarich c he recuperò, nel dicembre 1943, il corpo della studentessa dalla foiba di Villa Surani

Quando mi sono visto recapitare l’invito per la premiazione del ventunesimo concorso letterario internazionale «Mailing List Histria» in programma lo scorso 28 ottobre, ho provato un brivido improvviso. A promuovere la cerimonia, infatti, era la Comunità degli italiani di Visinada (Vižinada, in croato), non lontano da Parenzo. Ora, chiunque conosca seppur minimamente la storia delle travagliate vicende che segnarono i nostri confini a est, durante e dopo la seconda guerra mondiale, non può che riandare col pensiero alla dolorosa vicenda di Norma Cossetto che da quelle parti nacque e visse, per poi finire trucidata ottant’anni fa, in maniera crudelissima, nel fiore degli anni.

Purtroppo, nonostante il tempo trascorso, occuparsi della tragica storia di Cossetto significa suscitare reazioni scomposte e violente. Di volta in volta, accomunati dalla truculenza del linguaggio, intervengono sia persone e gruppi fascistoidi o parafascisti sia frange estremistiche di opposto orientamento politico, sempre pronte a difendere tutto ciò che olezza di stalinismo repressivo. Né mancano coloro che, invece di manifestare prudenza, buon senso e rigore, come la loro professione imporrebbe (storici, insegnanti, giornalisti, politici, ecc.), esprimono astio e malanimo, lasciandosi andare ad affermazioni esecrabili. Il che appare quanto mai increscioso: insignita della medaglia d’oro al merito civile da Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica, Norma Cossetto merita un ricordo sereno e limpido, senza patetici tentativi di giustificare i suoi assassini e neppure sentimenti di odio e di rivalsa. Benché non facesse mistero delle proprie convinzioni politiche, la giovane istriana non è una martire fascista (come si crede a destra) e neanche un mito di stampo irredentistico-revisionista per fuorviare, fra orrorifici dettagli, gli ignari italiani (come si pensa a sinistra).

IN FOTO La tomba della famiglia Cossetto nel piccolo cimitero di Santa Domenica di Visinada

Una ragazza come tante

Allorché scomparve all’inizio dell’ottobre 1943, Cossetto non aveva che ventitré anni. Trattandosi di una ragazza come tante altre, impegnata negli studi, non stupisce che la documentazione sulla sua vita sia scarsa e lacunosa. Nata il 17 maggio 1920, studentessa dell’Università di Padova, era iscritta alla facoltà di Lettere e filosofia. Di temperamento volitivo, ma dolcissima e solare, ormai prossima alla laurea, raccoglieva materiali per la stesura della tesi che le aveva assegnato il professor Arrigo Lorenzi (1874-1948), uno fra i più illustri geografi italiani del Novecento, la cui firma figura in calce, nel 1925, al manifesto degli intellettuali antifascisti (il cosiddetto antimanifesto di Benedetto Croce). Andreina Bresciani, la sua amica e collega di studi, attesterà che Cossetto mostrava grande ammirazione per Lorenzi, tant’è che lo scelse quale relatore della propria tesi di laurea, iterando l’esame di geografia. Nel futuro della giovane vi era la scuola. Non ancora laureata, per affrancarsi dalla dipendenza familiare, Cossetto fu felice e orgogliosa di accettare una prima supplenza nel Regio liceo «Gian Rinaldo Carli» di Pisino. Poi vennero altri incarichi scolastici.

La famiglia della giovane era agiata. Proprietario terriero, già ufficiale dell’esercito austroungarico durante la Grande guerra, quindi segretario del Fascio di combattimento a Visinada, infine podestà, il padre si fregiava del grado di capomanipolo della Milizia fascista (corrispondeva al tenente del Regio esercito).

Raccontare l’indicibile

La storia della drammatica fine di Norma Cossetto è riassumibile senza eccessivi problemi nelle sue linee essenziali, non dimenticando che la scarsa documentazione impedisce di rispondere compiutamente a tutti gli interrogativi. Trattenuta dai partigiani di Tito nei giorni confusi che seguirono alla notizia dell’armistizio, quando l’Istria finì sotto il controllo del movimento di liberazione croato, ma subito rimessa in libertà, la studentessa fu nuovamente fermata l’indomani, lunedì 27 settembre, assieme ad altre persone, e condotta a Parenzo. Il 1° ottobre, temendo l’arrivo dei tedeschi, i partigiani titoisti trasferirono tutti i prigionieri ad Antignana (Tinjan, in croato). Lì, per Norma Cossetto, cominciarono quattro giorni d’inenarrabili supplizi. Divisa dai suoi compagni di sventura, denudata e legata a un tavolo, fu più volte violata in branco da almeno diciassette uomini. I suoi lamenti strazianti furono uditi all’esterno dell’edificio. Si hanno buoni motivi per supporre che lo stupro avvenne col consenso, se non alla presenza, delle partigiane che si trovavano nell’edificio.

La sera del 4 ottobre, Norma Cossetto fu trascinata, con gli altri prigionieri, sino alla foiba di Villa Surani, alle pendici del monte Croce, e spinta nella voragine. Il suo corpo straziato sarà riportato alla luce l’11 o il 12 dicembre 1943 dai vigili del fuoco agli ordini del maresciallo Arnaldo Harzarich (1903-1973), polese, a cui si deve il recupero di oltre duecento persone infoibate.

Sulla causa ultima di tanta violenza occorre essere molto chiari. La giovane non fu brutalizzata e uccisa in quanto italiana, bensì perché i titoisti l’annoveravano fra i «nemici del popolo», una categoria politica decisamente elastica, creata dai bolscevichi sovietici. In Istria comprendeva tutti coloro che erano ritenuti pericolosi per il nuovo potere iugoslavo: gerarchi fascisti, podestà, segretari e impiegati comunali, antifascisti non comunisti, religiosi e sacerdoti, liberi professionisti, commercianti, artigiani e così via. Nelle zone occupate dal movimento partigiano croato, sloveno o serbo era prassi diffusa che i nemici del popolo fossero uccisi senza pietà, facendo possibilmente sparire i cadaveri. Su Norma Cossetto, agli occhi dei partigiani titoisti, gravava una duplice e intollerabile colpa: era benestante e figlia di un funzionario dell’esecrando regime fascista. Ciò non esclude, ovviamente, che la giovane, seviziata in maniera inumana, rappresenti una «luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio», come risulta dalla motivazione della sua medaglia d’oro.

Non di rado, il nome di Norma Cossetto è accostato a quello del comunista Concetto Marchesi (1878-1957), il famoso latinista, rettore dell’ateneo padovano nel 1943, durante il concitato periodo fra la caduta del fascismo e la costituzione della Repubblica sociale. Il filologo e storico Luciano Canfora, anch’egli di stretta osservanza comunista, ha dedicato un ponderoso volume a Marchesi («Il sovversivo», Laterza, 2019). Trattando dell’uccisione di Cossetto, non ricorre a giri di parole, definendola «sadica e infamante» per coloro che se ne resero responsabili. La povera studentessa – scrive – fu «massacrata da una banda di partigiani titini (o anche italiani) […] in quanto figlia di un esponente fascista locale». E parla di «infamia», «assassini aguzzini» e «orribile crimine». Alla giovane, dopo la guerra, a Padova, fu conferita la laurea ad honorem con la motivazione «caduta per la difesa della libertà» che è, secondo Canfora, «volutamente intesa quale risarcimento, nei limiti del possibile, del misfatto».

IN FOTO La fotografia che Norma Cossetto allego alla pratica d’iscrizione all’Università di Padova

Alterare la verità

In Italia sono numerosi coloro che ritengono pregiudizialmente inaccettabile la storia di Norma Cossetto per la semplice ragione che confligge con le loro posizioni ideologiche e politiche. Si tratta dei cosiddetti negazionisti ai quali l’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia dedica alcune interessanti pagine del «Vademecum per il Giorno del ricordo». In buona sostanza, i negazionisti adottano metodi ipercritici di analisi delle fonti per negarne, se discordanti con le interpretazioni preferite degli eventi, la credibilità complessiva. Talvolta individuano esagerazioni e divergenze nelle testimonianze all’unico scopo d’invalidarle per intero, screditandole. 

Volendo essere più chiari, esistono prove incontrovertibili che la tesi di laurea a cui attendeva la studentessa Cossetto s’intitolasse «Istria rossa», con riferimento alle cave di bauxite – e non al colore politico del momento – che costituiscono una caratteristica geologica di quella terra? No, se si prescinde dalla testimonianza dell’amica Andreina Bresciani, la quale dedicò l’intera vita all’insegnamento nel liceo classico «Francesco Petrarca» di Arezzo, ma le cui affermazioni sono messe in dubbio perché militante del Movimento sociale italiano (suo padre, ingegnere stradale, scomparve in una foiba carsica). Chi era la donna che avvicinò Licia Cossetto, la sorella minore di Norma, e le riferì di averla udita piangere e invocare pietà, mentre i suoi carnefici le stavano intorno? Non si sa. In quali condizioni era il corpo recuperato dalla foiba di Villa Surani? Alcune testimonianze divergono. Ne consegue, secondo i negazionisti, che occorre respingere in toto l’intera documentazione sugli ultimi giorni della giovane istriana perché manipolata e falsa.

La ricerca storica, per fortuna, procede in maniera assolutamente diversa, fondandosi su chiare e non soggettive modalità d’interpretazione delle fonti volontarie e involontarie, scritte, orali e materiali. Anche le testimonianze apparentemente più chiare e convincenti sono lacunose e non esauriscono tutti gli aspetti di una vicenda come quella di Norma Cossetto.

È altresì vero che gli eventi devono essere studiati nel contesto storico che ha contribuito a generarli. È il contesto che fornisce le necessarie prospettive d’interpretazione di ogni comportamento umano. Attenzione, però! Contestualizzare non equivale a negare, minimizzare o giustificare. Le sofferenze inflitte a sloveni e croati durante il ventennio fascista non legittimano né scagionano i truci infoibatori. 

È indubbio che le ricerche storiche su Norma Cossetto devono proseguire, tenendo conto – come sosteneva lo storico francese Marc Bloch (1886-1944), bestialmente torturato e ucciso dai nazisti – che «il passato è, per definizione, un dato non modificabile», ma «la conoscenza del passato è una cosa in fieri, che si trasforma e perfeziona incessantemente».

Nessuno è al riparo dalla violenza

Frediano Sessi può vantare un curriculum antifascista di tutto rispetto. Già nei comitati scientifici della Fondazione Ex campo di Fossoli e dell’Istituto Alcide Cervi di Gattatico, ora in quello della Fondation Auschwitz di Bruxelles, è autore d’importanti studi sulla Shoah e la guerra di liberazione, non ultimo – con Enzo Collotti e Renato Sandri – del fondamentale «Dizionario della Resistenza» edito da Einaudi. A Norma Cossetto Sessi ha dedicato una biografia un po’ romanzata e, pertanto, discutibile. Su un punto, però, egli ha sicuramente ragione: la ragazza ventitreenne non fu uccisa per ciò che aveva commesso, ma «per quel che pensava e credeva o, peggio ancora, perché figlia di un funzionario del regime». Quella morte di ottant’anni fa è doppiamente «scandalosa»: le persone, infatti, «non si possono mai ridurre alle idee che professano». Ma c’è di più: stando così le cose, «nessuno […] può mai considerarsi definitivamente al riparo da eccessi di violenza». Ai tempi delle brutalità fasciste e titoiste, non diversamente da oggi. È questo l’aspetto terribile della vicenda. Ed è per tale motivo, di là da tutto, che l’orribile fine di Norma Cossetto continua a interpellarci in questi nostri tempi distratti e dissennati.

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