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Debiti e debitori nel Canavese del basso Medio Evo

Gli Illuministi settecenteschi (in Italia principalmente Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria) sottolinearono molte storture delle leggi allora vigenti, e dei dettami filosofici ad esse sottesi.

Riguardo il tema dei debiti e dei debitori, fecero varie osservazioni, ma a me sembra importante soprattutto quella concernente la prigione per debiti. Il ragionamento è lineare: un debitore imprigionato si trova nell’impossibilità di lavorare, quindi di guadagnare, perciò non potrà saldare il proprio debito.

Nell’antica Roma il debitore insolvente veniva ridotto in schiavitù; nel Medio Evo poteva diventare servo della gleba: in entrambi i casi si trattava di perdita o grave limitazione della libertà personale. La prigione per debiti non era sconosciuta, ma via via prenderà piede e durerà a lungo: all’epoca degli illuministi era ben radicata in tutta Europa e non scomparirà dall’oggi al domani malgrado l’opera di educazione civile degli Illuministi. Per quanto riguarda l’Italia, la prigione per debiti cessò formalmente col codice di procedura civile del 1865, anche se, ad onor del vero, già da tempo non veniva applicata.

Nel basso Medio Evo il panorama delle punizioni cui andavano incontro i debitori insolventi era assai variegato.

Nel Canavese, come ci permettono di ricostruirlo gli Statuti, esso si presentava così.

Chi contraeva un debito era arrestato ed incarcerato fino al soddisfacimento del dovuto. 

Vale la pena di leggere integralmente questo capitolo degli Statuti di Chivasso del 1406, perché ci dimostra quanta minuzia, addirittura pignoleria, venisse usata nella stesura delle disposizioni riguardanti un argomento ritenuto di fondamentale importanza, e ciò per evitare qualunque pericolo di fraintendimento e non dar adito ad appigli legali.

Cap. 47 - Nel caso in cui una qualunque persona abbia un debito, per qualsiasi motivo, con persone di Chivasso o ivi abitanti, si stabilì che, a richiesta di chi deve avere il saldo del debito, il Castellano ed i (pubblici) ufficiali di Chivasso e ciascuno di loro siano tenuti e debbano e possano arrestare tali debitori ed incarcerarli e confiscare i loro beni, e quegli stessi debitori e quegli stessi beni, arrestati e confiscati e detenuti, (possano) essere detenuti finché colui che doveva avere o coloro che dovevano avere non abbia avuto o non abbiano avuto soddisfazione integrale di quanto doveva o dovevano (ricevere), con i danni e le spese, dei quali danni e spese e interessi, si presti fede a tale persona richiedente quanto dovuto.

Interessanti pure le disposizioni  contenute nei capitoli 53 e 54 degli Statuti del 1449, della stessa città. È curioso anche sul piano linguistico ma per noi, abituati al freddo “burocratese” delle nostre leggi, sembra addirittura fuori dalla realtà il linguaggio moraleggiante del primo di quei due capitoli.

Cap. 53 – Poiché i mercanti di Chivasso hanno per consuetudine di dare in pegno tanto ai chivassesi (il testo dice terrigenis, cioè indigeni, nativi del territorio) merci e cose proprie, e talvolta, (a causa di) alcuni ingrati, che non arrossiscono a negare risolutamente ciò che in tal modo hanno ricevuto, quegli stessi mercanti non possono riottenere quanto loro dovuto, sebbene la prova di quanto dato e ricevuto sia evidente nei libri (contabili) degli stessi mercanti, abbiamo ordinato e stabilito che il libro (contabile) di ciascun mercante ben conosciuto, di buona condizione e notorietà, che da molto tempo ha avuto l’abitudine di esercitare onestamente l’attività di mercante, nel luogo di Chivasso, registrando ordinatamente quanto dato e ricevuto dalle singole persone, dietro giuramento prestato dallo stesso mercante nelle mani del giusdicente, abbia pieno valore fino all’ammontare di sei fiorini, e fino a tale somma il giudice, appena sia stato formulato detto giuramento, sia tenuto a condannare e costringere il debitore a saldare (quanto dovuto) a quel mercante, secondo il disposto dei capitoli (dello statuto) di Chivasso.

Cap. 54 – Abbiamo poi stabilito e ordinato che tutti i debitori della comunità di Chivasso possano e debbano essere personalmente arrestati e, (una volta) arrestati, (debbano) venire detenuti nelle due porte del castello dagli ufficiali del nostro squisito signore, non appena gli stessi ufficiali avranno ricevuto l’ordine dal clavario comunale dello stesso luogo, finché quei debitori avranno data piena soddisfazione allo stesso clavario, o avranno raggiunto con lui un accordo su quanto debbono alla comunità e, rimanendo in stato di arresto, non debbano allontanarsi, sotto pena di sessanta soldi ciascuno e per ogni volta in cui avranno contravvenuto.

Notevole è la disposizione che si trova in Patti e convenzioni fatti tra la comunità e gli uomini di Vestignè e i Conti di Masino nell’anno 1406.

Cap. 13 – Inoltre, se i detti uomini (di Vestignè) saranno arrestati [il che equivaleva a dire: imprigionati] o sarà arrestato in qualche luogo o da qualche parte per debiti dei loro padroni, quegli stessi padroni a causa dei quali siano stati arrestati, siano tenuti a liberare tali arrestati e farli rilasciare da quell’arresto, a carico e spese degli stessi padroni, e gli stessi padroni siano tenuti ed obbligati a restituire e rimborsare materialmente e personalmente (nel senso di danni materiali e morali) a quei tali arrestati tutte le spese e i danni e gli interessi le quali ed i quali gli stessi arrestati in occasione di detto arresto abbiano sopportato e in qualunque modo abbiano potuto sopportare.

Regole particolari vigevano per l’arresto di un debitore forestiero.

Statuti di Barbania del XIV o XV secolo.

Cap. 24 – (Stabilirono che) qualunque persona estranea a detto luogo di Barbania, che abbia un debito con una persona di questo luogo o qui abitante, possa, dal castellano del luogo o da un suo incaricato, essere arrestato e tutte le sue cose essere sequestrate, ed essere tenuto sotto sequestro, finché abbia saldato il debito alla persona creditrice, con le spese connesse. A meno che non sia stata data idonea garanzia, direttamente o indirettamente, da una persona soggetta al nostro illustrissimo signore, di pagare quel debito entro un giusto termine, o di comparire in giudizio nello stesso luogo riguardo quel debito e le spese: in questo caso quella persona detenuta sia rilasciata con tutte le sue cose. 

Anche a Favria (1472, cap. 37) potevano essere arrestati fino a saldo del debito, così pure a Rivarolo (1358, cap. 12) e ad Ozegna (1451, cap. 12).

Il debito poteva comportare l’esecuzione sui beni, cui però talora venivano imposti dei limiti. Si veda questo esempio.

Statuti di Andrate del 1410.

Cap. 126 – Si stabilì poi che nessuno, qualora debba ricevere da qualcuno il saldo di un debito, possa o si senta autorizzato a prendere coppi o armature della casa, nel caso in cui si trovino altri beni: chiunque li prenderà o li darà, paghi 5 soldi a testa per ogni volta.

Ad Azeglio (presumibilmente sec. XV, cap. 105) se dei beni immobili erano stati dati ad un creditore, entro sei mesi il debitore poteva riscattarli pagando la somma stabilita dai periti comunali.

A Romano (1315, cap. 84) il creditore aveva la facoltà di scegliere, fra i beni del debitore, quelli che preferiva: juret jpse debitor presentare dare et consignare ... de suis mellioribus numatis jn ellectionem dicti creditoris  (“il debitore giuri di presentare, dare e consegnare ... delle proprie “numate”, a scelta di detto creditore”. La numata era la “quantità di merce corrispondente al valore di un nummo, e quindi si intese per merce, vettovaglia” come spiega il Frola nel glossario annesso al Corpus Statutorum Canavisii).

Ad Ozegna (1451, cap. 16) esisteva una complessa procedura.

Si stabilì che qualunque persona di Ozegna o abitante in tale luogo sarà stata condannata dal signor castellano per una certa quantità di denaro, possa, abbia l’autorizzazione e le sia lecito dare ai creditori, come pagamento, per estinguere il debito, in primo luogo una certa quantità dei suoi beni mobili, e se i beni mobili non possono pareggiare la quantità del credito, dovrà dare la quantità dei beni immobili, naturalmente dei migliori, secondo la valutazione dei consoli o dei periti di detto luogo di Ozegna. Detti consoli e periti, se il creditore non vorrà accettare tali beni da loro stimati, al prezzo o ai prezzi ai quali sarà stato valutato, saranno tenuti e dovranno trattenerli e consegnare e sborsare in denaro contante quanto di sua spettanza entro tre ore dall’estimo fatto; il creditore, da parte sua, dovrà calcolare e lasciare ai consoli o ai periti due soldi per ogni libra di quanto dovrà avere.

L’arresto per debiti era vietato in alcuni casi.

Anzitutto  se il debitore era solvibile.

Statuti di Barbania, sec. XV

Cap. 22 – Non sia lecito al castellano ed ai (pubblici) ufficiali di Barbania, attuali e futuri, arrestare e detenere per un debito una persona di Barbania, ad istanza di un’(altra) persona di Barbania, se la persona di cui si chiede la detenzione, nel sito o nel podere o nel territorio del detto nostro luogo possiede di che far fronte (a quanto dovuto)...

Cap. 77 – Se qualche persona di detto luogo o ivi abitante sarà arrestata e imprigionata dal castellano di detto luogo o dal suo luogotenente a causa di qualche debito, e qualunque altra persona sarà disposta a costituirsi fideiussore per quell’arrestato (garantendo) che comparirà nel processo e si presenterà ogniqualvolta sarà convocato, il castellano sarà tenuto a rilasciarlo dallo stato di detenzione, dietro idonea fideiussione, a meno che si tratti di un delitto tale da prevedere la pena di morte.

Neppure durante i giorni di mercato si potevano operare arresti per debiti.

Statuti di Chivasso, 1464

Cap. 7 – Stabilirono poi e ordinarono, per il bene pubblico e affinché il mercato migliori costantemente, che nessuno, nel giorno di mercato possa essere arrestato e detenuto nel luogo o nel distretto di Chivasso per qualche debito civile. E se uno sarà arrestato, venga immediatamente rilasciato senza costi per l’arrestato o spese per chi lo ha fatto arrestare ...

Gli Statuti di Lessolo, del 1430, dedicano un capitolo alle vertenze fra parenti e congiunti.

Cap. 118 – Si stabilì poi che in qualunque lite intentata davanti al podestà fra parenti e congiunti, in merito a qualunque debito, o obbligazione o promessa, ci si regolerà così. Ascoltata l’istanza dell’attore e la risposta dell’imputato, il podestà, per mezzo di pene e bandi, costringa le parti a scegliere due persone di gradimento fra i parenti delle stesse parti o i vicini più stimabili che troveranno. A costoro dovranno concedere l’autorità di dirimere il contrasto. Le parti in lite presteranno giuramento che si atterranno e dovranno attenersi a quanto le persone da loro scelte pronunceranno, definiranno e stabiliranno.

I debiti erano contratti evidentemente assai spesso, anche solo giudicando dal gran numero di Statuti che ne parlano, quasi sempre comminando la prigione per chi non riusciva a saldarli. Sovente compare la figura del fideiussore, previsto anche nei casi in cui il debitore non fosse in grado di pagare: è presumibile che, in una simile situazione, fosse ben difficile trovare una persona disposta a fare da garante, quindi si può ragionevolmente pensare che tale possibilità di aiuto rimanesse quasi sempre sulla carta. Naturalmente era più facile trovare un garante, se il debitore possedeva beni mobili o immobili ma, nelle more di tale reperimento, egli doveva comunque finire in prigione e vedersi sequestrata una parte dei suoi averi.

Un capitolo degli Statuti di Chivasso del 1306, prevede reati per i quali il reo non finisce in prigione, ma il capitolo è curioso non solo per la minuziosa scansione temporale delle multe, ma anche per l’elenco dei beni sequestrabili in caso di inadempienza.

Cap. 20 – Si stabilì poi che se una persona sarà convocata alla presenza del podestà o del giudice e si presenterà e riconoscerà di essere in debito con qualcuno per meno di dieci soldi, dovrà essere condannato a dare la cifra riconosciuta come dovuta al suo creditore entro otto giorni, se ammetterà un debito dai dieci soldi in su, sia condannato a pagare entro quindici giorni; confessando (un debito) da venti soldi in su, sia condannato (a pagare) entro 30 giorni. E se entro tale termine il condannato non pagherà, dovrà pagare una multa di due soldi viennesi entro quindici giorni se il debito sarà inferiore ad un fiorino; se invece sarà superiore, pagherà la stessa multa, ma entro un mese; tale multa si intenderà per ogni settimana, se la condanna sarà confermata dal podestà o dal giudice. Il Podestà inoltre sia tenuto a costringere l’accusato a dichiarare sotto giuramento e mettere per iscritto, per il creditore, tutti i suoi beni mobili ed immobili, eccettuate le armi, i cavalli ed i panni da letto e dell’abbigliamento; sia tenuto anche a far stimare tramite i periti del comune di Chivasso, se questo sarà il volere del creditore, la quantità dei suddetti beni sufficiente a saldare il debito, e dare in pagamento a quel creditore i beni mobili e gli immobili in allodio (privi da vincoli feudali). I beni immobili potranno essere riscattati, entro un anno, allo stesso prezzo. Riguardo i restanti profitti di quell’anno, essi spetteranno al creditore. Si aggiunga a questo capitolo quanto qui sotto riportato: se il debitore avrà consegnato al creditore una maggior quantità dei suoi beni mobili ed immobili, che valga un triplo del debito, questo basti al creditore e (in seguito) il debitore non sia costretto a pagare altro.

Il capitolo 75 degli Statuti di Azeglio (sec. XV) ci rivela un’usanza a dir poco curiosa, ai nostri occhi: il debitore privo di mezzi, oltre ad essere imprigionato, doveva pagare le spese connesse con il suo incarceramento, ma i tre quarti di queste spese ricadevano sul creditore. Se quest’ultimo non se li vorrà accollare, il debitore sarà rimesso in libertà.

Qualcosa di simile si legge nei già citati Statuti di Chivasso, al cap. 16: ... a quel carcerato, a carico del creditore, siano dati ogni giorno, per il suo mantenimento, quattro denari imperiali di pane, se risulti non avere di che vivere ...

Evidentemente era una prassi non rara in quei secoli. Infatti la ritroviamo negli Statuti di Caluso del 1510, al capitolo 12, dove si legge: ... il Castellano sia tenuto ad arrestare qualunque debitore insolvente (il testo latino dice: “pravum debitorem”, cioè “cattivo debitore”) a lui denunciato ed imprigionarlo fino al pagamento della somma (reclamata) e delle spese sostenute (dal creditore). Tuttavia, a questo debitore così incarcerato, il necessario e le spese siano forniti dal creditore, fino all’ammontare di otto denari imperiali per ogni giorno. Se il creditore non vorrà farlo, il prigioniero sia rilasciato e restituito alla libertà precedente.

A volte succedeva che un creditore richiedesse nuovamente il pagamento di un debito già saldato. Ecco che cosa prescrivono alcuni Statuti.

Statuti di Chivasso (1306)

Cap. 36 – Poi si stabilì che se qualcuno pretenderà il saldo di un debito del quale già ha ottenuto il saldo, ma negherà di averlo avuto, e (il saldo) si potrà dimostrare con un documento scritto, o con una ricevuta di pagamento, o mediante testimoni, il podestà dovrà condannarlo ad una multa doppia della somma richiesta. Questo capitolo si applicherà soltanto nei confronti delle persone che hanno ricevuto il saldo, o dei loro aventi causa se erano al corrente dell’avvenuto pagamento.

Le stesse disposizioni, quasi con le medesime parole, si ritrovano negli Statuti di Verolengo (XIV secolo?) al capitolo 24.

Il capitolo 1 degli Statuti di Pont e Valli (1351) commina una multa di 25 libbre viennesi a chi intenta causa per un debito già saldato, e 10 libbre viennesi al suo procuratore.

Nel caso analogo, 25 libbre di multa prevedono anche gli Statuti di San Giorgio (1422) al capitolo 57; inoltre, il debitore non più tale avrà diritto al rimborso del danno e degli interessi.

Stessa multa di 25 libbre viennesi prescrivono gli Statuti di Valperga (1350), al capitolo 95. Evidentemente era una somma considerata equa da un gran numero di amministrazioni comunali.

Altra eventualità per noi stupefacente, ma che alcuni legislatori ritenevano necessario vietare espressamente, almeno in alcuni casi (dimostrando così che talvolta succedeva), si trova negli Statuti di Chivasso, più volte citati.

Cap. 32 – Stabilirono poi che una persona avente un debito verso un creditore non debba né possa essere costretta a darsi in ostaggio per qualunque debito, purché il debitore abbia la volontà e la possibilità di soddisfare il creditore tanto con beni mobili quanto con poderi che siano liberi da gravami. Il podestà non debba concedere a nessun creditore le caparre versate per qualche debito, finché il debitore dimostrerà di voler soddisfare il creditore. Questa norma sia applicata alla lettera.

E, per finire, scopriamo che, come avviene ai nostri giorni, non dovevano essere onorati i debiti di gioco.

Concisamente, così recita il cap. 39 degli stessi Statuti:

Si stabilì, poi, che il Podestà o il giudice non sia tenuto e non debba rendere giustizia in (questioni) di usura né di gioco.

In una successiva revisione viene chiarito in quale ambito di gioco si dovesse applicare la norma.

Non si possa dare udienza a chi pretende il frutto dell’usura da colui che l’aveva accettata e neppure a chi pretenda il guadagno di un gioco proibito, ad esempio di dadi e di carte e di altri giochi basati più sulla fortuna che sull’abilità.

Savino Giglio Tos

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