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SPORT. Giro d'Italia, Israele scommessa vinta

SPORT. Giro d'Italia, Israele scommessa vinta

Giro d'Italia

La festa non è finita. Anzi, è appena cominciata e potrebbe addirittura valicare gli oceani per raggiungere gli Stati Uniti, rispolverando una vecchia ambizione degli organizzatori del Giro d'Italia. Israele ha ricambiato, con il calore e l'affetto, la fiducia che i dirigenti di Rcs Sport hanno riposto su un Paese che vuole dimostrare a tutti i costi il proprio volto migliore. Per contribuire a illuminare i lati oscuri, e offrire al mondo un'immagine positiva, però, a scendere in campo è stato ancora una volta lo sport: con la sua passione, i colori, l'entusiasmo, l'energia positiva e una dose massiccia di spensieratezza. Era accaduto già in occasione delle Olimpiadi invernali, a febbraio, quando le due Coree si sono riavvicinate sotto la bandiera a cinque cerchi; l'operazione si è ripetuta nell'ultima settimana in un Paese dove la sicurezza è un problema che scotta e la parola pace sembra ancora lontana. "Volevamo vigilare sulla sicurezza, siamo riusciti a farlo, perché volevamo ottenere un risultato: indurre le persone a dire, quando avrebbero lasciato questa terra, che Israele è un Paese sicuro, che qui si sono sentiti sicuri e che noi possiamo garantire la massima sicurezza a tutti - le parole di Daniel Benaim, ceo e proprietario di Comtecgroup, la società che ha prodotto il Giro d'Italia in Israele. "Il Giro per il nostro Paese è stato un evento di fondamentale importanza. Ma, attenzione: questo è un evento sportivo, la politica non c'entra. Nello sport, e con lo sport, i confini politici e religiosi vengono superati. Un evento sportivo di questa grandezza nel nostro Paese verrà ricordato per sempre, come momento di entusiasmo, per lo sport e per la pace", aggiunge. Non è stato facile per gli organizzatori allestire un evento di tali dimensioni in un territorio come quello israeliano, non tanto per i chilometri (il Giro è partito anche da Herning in Danimarca e da Belfast, in Irlanda del Nord). "La nostra è una scommessa vinta, perché ritengo il bilancio assolutamente positivo - dice Mauro Vegni, direttore del Giro d'Italia - perché si è trattato di una grande operazione per il ciclismo, significativa, non solo a livello promozionale. Non credo che per Israele questa non sia una parentesi fine a se stessa, come conferma il fatto che nei giorni scorsi è stata inaugurata una pista ciclabile nella foresta di Haruvit, a 50 chilometri da Gerusalemme, dedicata a Gino Bartali. Inoltre, in Israele hanno una scuola di ciclismo e un velodromo. Sono straconvinto che esistono i presupposti per continuare con questo sport. Il Paese, inoltre, ha dimostrato di poter ospitare i grande eventi. Se considero l'idea di far partire il Giro fuori dall'Europa un'esperienza da ripetere? Certo. Il ciclismo ormai è inserito in un percorso di globalizzazione che coinvolge anche quei Paesi dove si pratica, pur non essendo fra le discipline preferite. La tradizione di questo sport va rispettata, ma bisogna nel contempo guardare avanti e scoprire altri mondi, superare i confini. Il ciclismo nel mondo non ha alcun limite. Il messaggio che Israele ha lanciato va proprio in questa direzione. Non si tratta solo di un'operazione commerciale, in questi casi ci sono cose anche più importanti da valutare, come la logistica, l'interesse per la competizione, che in altre parole vuol dire appeal. Ho tante richieste da vari Paesi che vogliono la grande partenza, vedremo cosa accadrà. Il Giro negli Stati Uniti? Perché no?". Domani si muoveranno gli aerei-cargo per riportare la carovana in Italia: un'operazione colossale, dietro la quale ci sono mesi di lavoro e programmazione. Le misure di sicurezza saranno strettissime, ma resta il fatto che in questi tre giorni Israele ha vissuto come un Paese normale, che si è sentito parte di una comunità. Anche questo è un successo da ascrivere allo sport.
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