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08 Maggio 2018 - 12:08
Lavoratori Farmitalia in corteo in via Torino.
Nessuno ha ricordi diretti, però ci fu un tempo tutt’altro che remoto in cui Settimo Torinese visse il suo quarto d’ora di notorietà internazionale. Correva l’anno 1958…
Sessant’anni or sono, a differenza di oggi, la città era un centro d’industrie fra i maggiori del Piemonte. Contrattosi il settore alimentare, scomparse le fornaci di laterizi e chiuse le vecchie fabbriche che tornivano l’osso, i comparti trainanti erano la chimica, la metallurgia e la meccanica. La campagna stava rapidamente cedendo il posto alle architetture industriali: «dominano ancora sul verde dei prati, ma […] lo sommergeranno ben presto», scriveva «Il Popolo Nuovo». All’ombra della Mole Antonelliana era in corso l’ottavo congresso della Società Chimica Italiana e della Society of Chemical Industry. Il 31 maggio i partecipanti si trasferirono proprio a Settimo – che allora contava appena quindicimila abitanti – per una visita alla Farmitalia.
All’epoca, con i suoi millecento dipendenti, la Farmitalia era la più importante industria del territorio. Non per nulla, la gente del luogo la definiva familiarmente «il fabbricone». Si trattava di uno stabilimento storico, appartenuto in origine alla società Schiapparelli, a cui se ne doveva la costruzione nel 1907. In attività dall’anno successivo, la fabbrica aveva rotto il decennale equilibrio agricolo-manifatturiero che caratterizzava il sistema economico locale, incentrandosi – da un lato – sul lavoro nei campi e – dall’altro – sulle tessiture, i bottonifici, le fornaci e le lavanderie. Dalla Farmitalia di Settimo, nel 1958, rispetto alle originarie produzione di magnesia, acido carbonico e salicilati, usciva una gamma vastissima di articoli farmaceutici (dalla penicillina agli analgesici, dalle vitamine agli estratti epatici), senza contare quelli per la zootecnia e l’industria profumiera e dolciaria. In uno studio edito l’anno successivo, l’Istituto Ricerche Economico-Sociali «Aldo Valente» di Torino noterà che la fabbrica era una delle più moderne in Europa: il rinnovamento tecnologico procedeva «in modo pressoché continuativo, richiedendo l’impiego di manodopera e di tecnici particolarmente qualificati nel ramo chimico».
Ma esisteva anche un risvolto della medaglia. Più di altre aziende, infatti, la Farmitalia era responsabile dell’inquinamento idrico e atmosferico nel territorio di Settimo. Un periodico locale pubblicherà, nel maggio 1959, una breve nota per segnalare che l’Ufficio d’Igiene e Sanità di Torino riteneva non utilizzabili le acque dei rivi Freidano e San Gallo, dove si riversavano gli scarichi dello stabilimento e di altre fabbriche. Sul finire del 1961 il periodico riceverà una lettera sottoscritta da centosettantotto abitanti dei Mezzi, in allarme per l’acqua inquinata dalla Farmitalia.
Però nel maggio 1958, nonostante i molti problemi, i settimesi si sentirono fieri del «fabbricone». Con orgoglio, la stampa settimese riferì che la delegazione in visita allo stabilimento comprendeva, fra gli altri, Alexander Robertus Todd (Premio Nobel per la chimica nel 1957), John Douglas Cockcroft (Premio Nobel per la fisica nel 1951), Edward Charles Dodds (autore d’importanti ricerche sull’ormone follicolare, scopritore degli estrogeni sintetici) e Ben Lockspeiser (il primo presidente del Cern, l’Organisation Européenne pour la Recherche Nucléaire). «Per l’occasione – fece notare un cronista – i dirigenti della Farmitalia hanno creduto bene cambiare volto all’ingresso dello stabilimento, dando alla nostra Settimo […] un bell’esempio di gusto e di misura».
Insomma, proprio una storia d’altri. Anno 1958.
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