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Pizzini elettorali e polemiche: il sindaco al centro dell'inchiesta

Votare per il candidato 'giusto' non era sufficiente: il nome andava scritto sulla scheda in maniera tale da permettere di risalire, se necessario, all'identità dell'elettore...

Pizzini elettorali e polemiche: il sindaco al centro dell'inchiesta

Votare per il candidato 'giusto' non era sufficiente: il nome andava scritto sulla scheda in maniera tale da permettere di risalire, se necessario, all'identità dell'elettore. Fu questo retroscena ad accompagnare, nel 2022, le consultazioni per il rinnovo della Provincia di Asti. E adesso la ridente città piemontese, famosa per i vini e per un Palio che rivaleggia in popolarità con quello di Siena, si trova nel mezzo di una bagarre mediatica, politica e giudiziaria.

Al centro c'è la figura del sindaco, Maurizio Rasero, di Forza Italia. Sarebbe stato lui a distribuire agli elettori (o meglio, ai consiglieri comunali che facevano riferimento alla sua lista) un biglietto con tanto di istruzioni personalizzate.

L'idea, frutto di un normale accordo di squadra, era di far convergere le preferenze sul sindaco di Nizza Monferrato, Simone Nosenzo (che in effetti diventò vicepresidente della Provincia). Fin qui, tutto bene. Ma ogni elettore, in base alle indicazioni del 'pizzino', doveva tracciarne il nome con modalità riconoscibili: tu metterai una maiuscola lì, tu una minuscola là, e così via.

La procura di Asti, che ha indagato Rasero per la violazione di una norma del 1960, ha già chiesto di archiviare la pratica.

La Procura ha già chiesto l'archiviazione, ma la partita "politica" non è finita

La partita, però, non è finita. L'uomo che ha presentato la denuncia, l'ex assessore comunale Mario Bovino, pure lui di Forza Italia, si è opposto. Non solo. Il suo legale, Maurizio Riverditi, docente di diritto penale all'università di Torino, ha proposto alla procura generale del Piemonte di avocare il fascicolo.

Per la pm Laura Deodato non ci sono gli estremi per procedere.

Le elezioni degli organi provinciali sono di "secondo livello" perché vi partecipano solo sindaci e consiglieri dei Comuni, e in questo contesto "suggerire e concertare" il nome di un candidato e "il possibile controllo successivo" sul comportamento dell'elettore non si possono considerare un'imposizione. Peraltro l'unica testimone interrogata, la consigliera Francesca Varca, ha parlato dei bigliettini ma ha aggiunto di "non essersi sentita vincolata".

Le conclusioni del pm sono del tutto errate secondo l'avvocato-professore. Riverditi afferma, innanzitutto, che è stato violato il principio universale della libertà e della segretezza del voto. Poi che le elezioni di "secondo livello" sono come tutte le altre: hanno le stesse regole, le stesse tutele e anche lo stesso trattamento sanzionatorio in caso di commissione di reati. L'opinione del legale è rafforzata da un parere pro-veritate di un collega, Enrico Grosso, ordinario di diritto costituzionale a Torino.

Nei corridoi di Asti fioriscono le chiacchiere sui motivi per i quali Bovino ha denunciato il sindaco, un pezzo da novanta della politica locale dai modi a volte pittoreschi. Riverditi però ha l'impressione che la pm di Asti, pur essendosi tenuta alla larga da qualsiasi polemica o speculazione, non abbia considerato nella giusta luce il comportamento dell'ex assessore: è per questo che auspica l'intervento del procuratore generale. A giugno Bovino raccolse le confidenze della Varca, le registrò e poi consegnò alla procura il nastro senza tagli: "Scusami - si sente dire - ma perché voleva mettere la A maiuscola, il voto lo avreste dato, non riesco a capire". "Perché lui non si fida".

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