Il riscaldamento climatico accelera la fusione dei ghiacciai ma anche lo sgretolamento delle montagne. Un altro segnale arriva dall'imponente crollo che si è verificato sulla parete nord-est del Monviso, dove il 26 dicembre si sono staccati 200 mila metri cubi di rocce. I sopralluoghi e le misurazioni effettuate dai tecnici di Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) ipotizzano che il deterioramento del permafrost, lo strato di terreno perennemente ghiacciato, sia stata una concausa della frana. E l'allarme sul Monviso resta perché la parete non ha ancora raggiunto un nuovo equilibrio e c'è il rischio di altri "possibili fenomeni importanti di frana", con uno 'sciame' che potrebbe durare per mesi. Il crollo che ha in parte cambiato l'aspetto del 'Re di pietra', come viene chiamata la montagna più alta delle Alpi Cozie, dalla quale nasce il Po, il più lungo fiume d'Italia, non è stato un fulmine a ciel sereno per gli esperti. Altri crolli più contenuti l'hanno preceduto, con un'accelerazione dei fenomeni dal 2010. Il giorno di Santo Stefano il cedimento di grosse dimensioni sul quale dopo tre settimane di approfondimenti è arrivata la relazione di Arpa: il distacco si è verificato a partire dalla quota di 3200 metri - la cima del Monviso è a 3841 - fino a 2800 e le rocce cadute si sono distribuite sul cono detritico preesistente tra i 2650 e i 2520 metri. I quattro blocchi più grossi sono di 150-200 metri cubi. La parete nord-est del Monviso resta instabile e nei prossimi giorni un drone inviato da Arpa completerà gli approfondimenti. La zona del cedimento sul Monviso è a sud-est del Canalone Coolidge, dove fino a trent'anni fa c'era il ghiacciaio pensile di Coolidge, crollato nel 1989. Sul 're di Pietra' nella stagione estiva non restano che piccoli lembi di ghiaccio. Quest'estate in molte località delle Alpi italiane sono stati celebrati i 'funerali' dei ghiacciai, con il requiem più partecipato proprio a nord-ovest, ai piedi del Monte Rosa. Una cerimonia simbolica celebrata nei giorni di massima allerta per il ghiacciaio di Planpicieux, sul Monte Bianco. Nel nord-est italiano la situazione è molto simile: in Italia si prevede che il ghiacciaio della Marmolada possa scomparire del tutto in 25-30 anni.
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