Continua a far discutere la mancata carcerazione di Said Mechaquat, il 27enne che si è consegnato alle forze dell'ordine, confessando l'omicidio di Stefano Leo. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha annunciato l'invito dei suoi ispettori a Torino per "verificare l'efficienza della magistratura". Condannato a un anno e mezzo, in via definitiva, per un corto circuito tra Corte d'Appello e procura l'ordine di carcerazione non è mai stato spiccato. Chiede scusa alla famiglia della vittima Edoardo Barelli Innocenti, presidente della Corte d'Appello di Torino, che non ci sta però a fare da capro espiatorio. E punta il dito contro il ministero: "Sono qui a prendermi i pesci in faccia, come è giusto che sia, ma non scrivete che la colpa è solo dei magistrati - è la sua dura presa di posizione. La massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno". Parla da "rappresentante dello Stato", Barelli Innocenti, e come tale non intende scaricare le proprie responsabilità. Ma non accetta che la sua Corte d'Appello sia considerata "corresponsabile dell'omicidio". E per questo motivo ricostruisce passo dopo passo la vicenda giudiziaria di Said Mechaquat. "Non c'è nessuna garanzia - sostiene il giudice - che il 23 febbraio potesse essere in carcere". Il giovane era stato condannato in primo grado nel 2015 per le botte e i soprusi cui sottoponeva la compagna. Il suo ricorso in appello era stato giudicato inammissibile nel 2018. Fine dei giochi. A quel punto, in base alle norme, la Corte avrebbe dovuto rinviare la palla alla procura presso il tribunale. "La sentenza è divenuta irrevocabile l'8 maggio 2018 - spiega Barelli Innocenti - Se noi fossimo nel migliore dei mondi possibili e se il cancelliere, oltre a mettere il timbro di irrevocabilità, si fosse accorto che era stato condannato a un anno e sei mesi senza condizionale, se avesse trasmesso immediatamente l'estratto alla procura e se la procura avesse eseguito subito la sentenza, non avremmo nessuna garanzia che il 23 febbraio Mechaquat sarebbe stato in carcere". In sintesi, secondo il giudice non sarebbe bastata una firma a evitare l'omicidio. "Se uno si comporta bene, ogni sei mesi ha 45 giorni di beneficio - spiega ancora -. Inoltre viene osservato e può accedere a misure alternative". L'errore, quindi, c'è stato; non per negligenza o per imperizia, ma per i troppi carichi di lavoro - a Torino restano circa 10mila sentenze da eseguire - e per il poco personale a disposizione. "Con le attuali forze non posso garantire che questo non succeda mai più - afferma il presidente della Corte d'Appello di Torino -. Lo dico col cuore infranto: ho dedicato tutta la mia vita a questo ed è duro da dire. Noi ce la mettiamo tutta e bisogna che qualcuno ci aiuti. Non possiamo farcela da soli. Il sistema è malato", conclude senza mostrare preoccupazione per l'arrivo degli ispettori: "Se e quando verrà l'ispettore, vedrà in che condizioni siamo...".
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