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TORINO. Ucciso in riva al Po: psichiatra, un atto di invidia

TORINO. Ucciso in riva al Po: psichiatra, un atto di invidia
"La motivazione addotta dall'assassino sconvolge l'opinione pubblica perché ci fa sentire tutti coinvolti, ci porta a immedesimarci con la vittima. Ognuno di noi ha provato e prova gioia o felicità, ognuno di noi avrebbe potuto essere Stefano". A commentare l'omicidio di Stefano Leo, ucciso il 23 febbraio a Torino con una coltellata alla gola "perché sembrava felice", è Enrico Zanalda, presidente della Società italiana di psichiatria e direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL To3. "La felicità degli altri fa sentire più forte la propria sfortuna. Questo sentimento di invidia è, di per sé, comprensibile in un uomo che, da quello che apprendiamo, vive ai margini della società, ha sofferto una separazione dalla moglie e l'allontanamento dal figlio. Ma chiaramente la sua azione va oltre la comprensibilità e la sua è una motivazione che spiazza. A livello statistico rappresenta un caso assolutamente eccezionale, forse senza precedenti", prosegue l'esperto. "Siamo abituati - sottolinea Zanalda - a sentir parlare di omicidi in cui c'è un legame con la vittima, basti pensare ai femminicidi o agli omicidi malavitosi. O qualora non ci sia legame, si tratta di azioni in genere motivate da razzismo, ideologia religiosa, tentativi di rapina. In questo caso, sembrerebbe sia stata la percezione di un sentimento come la felicità, forse resa palese da un sorriso, a far scattare la furia omicida. Chiaramente stride la positività e la bellezza del gesto con l'orrore della risposta suscitata". Tra le ipotesi, anche quella che la shockante confessione del killer, un 27enne italiano di origini marocchine, possa essere dettata dal tentativo di dissimulare una malattia psichiatrica, ma conclude Zanalda, "potrebbe anche tradursi un'aggravante per futili motivi".
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