Cerca

CRESCENTINO. La città oggi dà l’ultimo saluto al giornalista Mimmo Candito

CRESCENTINO. La città oggi dà l’ultimo saluto al giornalista Mimmo Candito

“Ho cominciato a sentirmi giornalista a 17 anni, quando con altri ragazzi, a Reggio Calabria, fondammo un mensile, Calabria ’61. [...] In 35 anni di reportage senza frontiera ho raccontato i popoli del mondo, le loro storie, le speranze ovunque sempre nuove, e la tragedia della guerra, che non è affatto quella cosa che si vede alla tv. [...] Volevo fare il giornalista per capire, e per aiutare e capire. Il primo obiettivo è stato un fallimento totale, al secondo mi ci sono forse avvicinato un po’, almeno a giudicare da quanto m’hanno scritto in questi anni molti generosi lettori. Quando vado in guerra lascio tutto in ordine a casa. Non si sa mai. E parto sempre con una paura fottuta. Come tutti.”

Così Mimmo Candito raccontava - nel libro Il braccio legato dietro la schiena, uscito nel 2004 - la sua vita e il suo lavoro di reporter di guerra. Lo è stato per tanto tempo, dal 1970 a pochi anni fa, quando ha scoperto di avere un tumore a un polmone. Che non chiamava «un brutto male», no: «le cose vanno chiamate con il loro nome - diceva -, così si conoscono e si combattono meglio». E lui, con il tumore - sconfitto una prima volta, e che poi si era ripresentato - ha combattuto fino alle 8,30 di sabato mattina, quando è spirato all’ospedale San Luigi di Orbassano dove era ricoverato. Una lotta raccontata nel libro autobiografico 55 vasche, che aveva presentato con incontri in molte librerie e che ha dato coraggio a tanti.

La vita e la carriera

Candito aveva 77 anni, compiuti a gennaio. Abitava a Crescentino, città della moglie, ma era nato a Reggio Calabria. Dopo aver fatto il contadino nello Yorkshire («per imparare l’inglese»), l’operaio metallurgico a Düsseldorf («per vivere l’esperienza degli emigrati»), l’impiegato comunale a Genova («per mantenermi agli studi») e il cronista abusivo a Il Lavoro («per poter andare gratis al cinema, come critico»), nel 1970 arrivò a La Stampa di Torino con l’incarico di inviato speciale. Come reporter di guerra ha raccontato molti dei conflitti che martoriano il pianeta: in Medio Oriente, in Asia, in Africa e nel Sud America. È stato uno dei pochi cronisti che ha assistito e scritto sia della guerra in Afghanistan portata avanti dall’esercito dell’Unione Sovietica che, poi, dagli Stati Uniti, ma soprattutto i suoi racconti sono legati alle Guerre del Golfo.

Presidente italiano di Repoter senza Frontiere, il suo testo I reporter di guerra. Storia di un giornalismo difficile da Hemingway a internet resta una pietra miliare per gli studenti di giornalismo, materia di cui è stato docente all’Università di Torino. Teneva un blog, “Il Villaggio (quasi) globale”: l’ultimo suo post è del novembre scorso, sull’assassinio di Maria Grazia Cutuli, reporter di guerra del Corriere della Sera uccisa in Afghanistan.

Il ricordo dei colleghi

Così lo ricordano i colleghi de La Stampa: «Ogni volta che in qualche parte del mondo scoppiava un conflitto, il primo nome che veniva in mente era il suo. Nei giornali, ai praticanti si dice che un inviato deve avere sempre una valigia pronta sotto il letto e Mimmo ce l’aveva davvero. Quando lo si chiamava per dirgli di partire, aveva già visto quali voli prendere, in quali aeroporti fare scalo, dove alloggiare a destinazione. I più giovani lo guardavano con invidia: era quello il mestiere che avrebbero voluto fare. In quei tempi era un lavoro pesante, stremante e pericoloso: l’unico modo per seguire una guerra era andarci davvero, rischiando ogni giorno le pallottole e le bombe. Quando tornava, ci si aspettava che raccontasse chissà quali avventure, ma lui arrivava alto, dinoccolato e come sempre silenzioso, si sedeva alla scrivania e leggeva lettere e giornali stranieri, preparandosi per la prossima missione».

I colleghi de L’Indice dei libri del mese, rivista di cui era direttore, lo ricordano così: «Mimmo ci ha sempre parlato del suo tumore come se fosse una carie fastidiosa che necessitava di qualche seduta di trattamento. Noi lo trattavamo come un uomo nel pieno delle forze che si è preso un raffreddore. La malattia, gli interventi, i viaggi, gli esami c’erano senza sotterfugi, o pietose bugie, però tutte queste cose erano relegate ai margini in modo da permetter loro il meno possibile di intralciare le nostre conversazioni, il giornale, la sua vita. Suoi sono i titoli del numero di marzo, che è appena uscito: li ha scritti dall’ospedale dove, così ci aveva detto, era momentaneamente finito perché i medici potessero rivalutare le strategie terapeutiche».

La Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Associazione Stampa Subalpina hanno espresso in una nota il loro “cordoglio per la scomparsa di Mimmo Candito, giornalista coraggioso, impegnato sulla trincea della libertà dell’informazione fino agli ultimi giorni della sua vita. Ci mancherà il suo esempio di inviato sui fronti di guerra dove non si è mai accontentato delle verità a portata di mano, ma ha saputo cercarle mettendo anche a repentaglio la sua incolumità e salute personale. Ma ci mancherà anche la passione con la quale insegnava ai giovani i segreti di una professione in trasformazione. Anche la sua ultima battaglia contro la malattia, che ha saputo condurre e descrivere con la forza delle parole, racconta di un uomo che lascia un vuoto incolmabile nel giornalismo italiano”.

La camera ardente e le esequie

La camera ardente è stata allestita presso la sede del Circolo della stampa a Torino. Candito verrà sepolto a Crescentino, nella tomba di famiglia dove già si trovano i suoi genitori, suo fratello e i suoceri. I funerali saranno celebrati oggi, martedì 6, alle 15.30 nella parrocchiale dell’Assunta.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori