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15 Maggio 2017 - 16:45
Bruno Caccia
Fin dal giorno successivo all' omicidio di Bruno Caccia, il magistrato ucciso nel 1983 a Torino, "i magistrati della Procura di Torino non trascurarono alcuno spunto di indagine". Lo afferma il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, che respinge "con forza insinuazioni e legami e ricostruzioni improbabili e sfornite di supporto probatorio e che fanno male alla giustizia, alla sua credibilità e all'abnegazione di tanti magistrati".
Saluzzo replica alle affermazioni dell'avvocato Fabio Repici, difensore della famiglia Caccia, che in occasione dell'audizione in Antimafia della figlia del magistrato, Paola, ha parlato di "indagini fatte male o non fatte per nulla" e di una sorta di "condanna all'isolamento" percepita in tutto questi anni dalla famiglia.
"Nulla di meno vero", sostiene il procuratore generale di Torino. "La 'catena' e il cordone di solidarietà e di vicinanza alla signora Caccia e alla sua famiglia non si è mai interrotta.
E ritengo che fino a quando fu viva la signora Caccia, la famiglia abbia manifestato apprezzamento per questa 'vicinanza'".
Allievo di Caccia, Saluzzo sostiene che le affermazioni del legale "provocano amarezza in tutti quei magistrati, me compreso, che a quei tempi furono vicinissimi alla limpida e straordinaria figura professionale e umana del dottor Caccia".
Quanto alle indagini, pur senza voler entrare nel merito del processo che si sta svolgendo a Milano a carico di Rocco Schirripa, ritenuto l'esecutore materiale dell'omicidio, Saluzzo ricorda che "vi è una sentenza definitiva nei confronti di Domenico Belfiore che lo consacra mandante dell'omicidio. Poi certo è possibile non rimanere persuasi - sottolinea - ma occorre che vi siano argomenti ed elementi di segno diverso o antagonista per porre nel dubbio una sentenza definitiva che, nel nostro ordinamento, pone la parola fine a una vicenda o a un segmento di essa".
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