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TORINO. Al Salone del Libro giornalista che ha perso moglie in attentati Parig

TORINO. Al Salone del Libro giornalista che ha perso moglie in attentati Parig

salone del libro torino

Ai terroristi che al teatro Bataclan di Parigi hanno ucciso, il 13 novembre scorso, sua moglie ha detto 'Non avrete il mio odio' in una lettera che ha fatto il giro del mondo. Ora quelle parole sono diventate un libro in cui c'è la vita di Antoine Leiris e di suo figlio dopo la tragedia e il grande desiderio di continuare a parlare direttamente alla persone.
"Oggi penso di avere un dovere di sobrietà. Quando le istituzioni politiche mi invitano per rendermi onore, non ci vado, o mi invitano per celebrare il superbo messaggio, non ci vado, perché significherebbe passare dall'altra parte, dalla parte delle elite" dice all'ANSA Leiris, 35 anni, che ha fatto il giornalista ma vorrebbe dedicarsi completamente alla scrittura.
"La parola pubblica è qualcosa di dimenticato e assai prezioso. Per me è come se si fosse aperta una finestra per un breve istante in cui la gente ha prestato attenzione a quello che avevo da dire. Destare interesse nelle persone è una responsabilità e quindi - sottolinea Leiris - non voglio che questo bene vada perduto". "Non si possono condividere con le persone - aggiunge - cose tanto personali e poi accettare di far parte del gruppo di quelli che si mettono in mostra per la foto, che diventano un prodotto pubblicitario. A volte, mi capita di chiedermi se non sto già scivolando in questa direzione, ma poi mi riprendo e rifletto per vedere come posso continuare a mantenere vivo questo legame".
In 'Non avrete il mio odio', pubblicato da Corbaccio, del quale parlerà domani al Salone del Libro di Torino, racconta l'arrivo della notizia dell'attentato, la speranza subito svanita che sua moglie Helene Muyal-Leiris fosse viva, il dolore e il ritrovarsi padre solo di un bambino che oggi ha 23 mesi.
"Da tempo cercavo la scrittura e la musica che voglio dare alle parole e l'ho trovata in circostanze orribili. Scrivere è una delle cose più belle del mondo e ho già cominciato un altro libro" racconta Leiris che non nasconde quanto il figlio gli abbia dato forza e speranza nell'affrontare la devastazione del dolore.
"Quando mi chiedono di mio figlio sto sempre attento a quello che dico, perché è una questione centrale. Non voglio che si senta responsabile di avermi salvato dall'annegare nel dolore.
Voglio che cresca come tutti gli altri bambini perché ha un padre e una madre, ma la mamma non c'è più. Mio figlio mi ha dato il sorriso e tutta l'innocenza dell'infanzia".
L'Isis, il terrorismo, la violenza con la quale Leiris ha fatto i conti di persona non sono cose di cui pensa sia giusto parlare se non attraverso quello che ha vissuto. "Se mi mettessi a commentare usando generalizzazioni, allora ciò che dico sarebbero soltanto parole che passano da un orecchio all'altro e basta. E invece se merito tutta questa attenzione è perché sento di creare un contatto diretto con le persone e intendo rimanere su questo registro, perché fa bene rimanere vicino all'animo umano".
Leiris cammina, come dice lui stesso, con i passi di suo figlio che cresce: "Lo porto e lo vado a prendere al nido. Penso a Helen. Quando ho scritto la lettera avevo poco spazio nella testa, la ho scritta come uomo e come padre e molte cose le ho capite anche io dopo. A volte mi chiedo quale sarà la mia realtà, ma ho il grande vantaggio di avere voglia di ritornare alla mia vera vita".
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