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05 Febbraio 2016 - 10:19
L'ombra del business sui campi rom si allunga su Torino. Tre indagati e una raffica di perquisizioni della Guardia di Finanza sono lo sviluppo di un'inchiesta della procura subalpina che coinvolge due associazioni e un personaggio noto alle cronache cittadine come "il ras delle soffitte".
Nel mirino c'è l'appalto da 5 milioni, affidato dal Comune nel 2013, per il reinserimento dei nomadi sgomberati dal campo di Lungo Stura Lazio, una vasta baraccopoli alla periferia della città. Il raggruppamento di imprese che vinse la gara presentò un'offerta convincente sulla carta ma - secondo l'ipotesi al vaglio del pm Andrea Padalino - non sorretta da basi solide: mancavano, in particolare, tutte le soluzioni abitative che erano state promesse. Si ripiegò così su una parte dei tantissimi alloggi gestiti dall'immobiliarista Giorgio Molino, 74 anni, che però sono risultati senza gli indispensabili requisiti di abitabilità: Molino, adesso, è indagato per abusi edilizi. Turbativa d'asta, invece, è l'ipotesi per Paolo Petrucci, presidente della Cooperativa animazione Valdocco ("Ritenendo di avere agito nel rispetto delle responsabilità consegnatami dai soci e nell'interesse dei beneficiari dei servizi che eroghiamo, attendo serenamente gli esiti dell'attività della magistratura"), e per Oliviero Alotto, presidente di Terra del Fuoco, principali componenti del consorzio. "Abbiamo portato a termine il servizio - sottolinea una nota di Valdocco - e stiamo continuando a sostenere i percorsi di integrazione delle persone che abbiamo aiutato a uscire dal campo rom".
Il programma ha affiancato lo smantellamento di una vasta baraccopoli abusiva che aveva cominciato a svilupparsi nel 1985 fino a formare una città nella città, con tanto di luoghi di culto. A dare il via allo sgombero, nel 2013, era stato un provvedimento di sequestro chiesto e ottenuto dalla procura di Torino (all'epoca guidata da Gian Carlo Caselli). I magistrati avevano raccomandato di procedere conciliando le esigenze di ordine pubblico a quelle di carattere umanitario. Era necessario intervenire a piccoli passi per non lasciare da un giorno all'altro centinaia di persone senza un tetto. E i progetti varati dal Comune prevedevano, oltre a un aiuto per chi desiderava tornare in Romania, programmi di integrazione e di inserimento lavorativo. Nel marzo del 2015 la Corte europea di Strasburgo bloccò i lavori per una quindicina di giorni ma riaccese il semaforo verde dopo i chiarimenti forniti dalle autorità torinesi. Il campo è stato definitivamente cancellato qualche settimana fa.
Il procuratore aggiunto Paolo Borgna spiega che questa indagine vuole soltanto verificare l'esistenza di "sbavature" a margine di una operazione che definisce "esemplare" anche dal punto di vista del dialogo fra istituzioni cittadine. Il vicesindaco Elide Tisi sottolinea che l'inchiesta "nulla toglie al risultato ottenuto con la chiusura del campo e l'avvio di un percorso di integrazione per più di seicento persone che lo hanno lasciato".
Sulle "sbavature" si concentra l'avvocato Gianluca Vitale, che ha curato gli interessi di alcune famiglie rom: "Quel progetto ha funzionato poco e ho l'impressione che si sia tradotto in un grande spreco di denaro". Maurizio Marrone, consigliere comunale di Fratelli d'Italia, rivendica il merito di avere presentato una denuncia e parla di "picconata a un sistema di potere e di guadagno".
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