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12 Novembre 2015 - 11:00
Furchì
L'ergastolo non basta: per Francesco Furchì ci vuole anche l'isolamento diurno. Ha chiesto questo la procura di Torino nei confronti dell'uomo accusato di avere teso l'agguato ad Alberto Musy, il consigliere comunale del Terzo Polo (centrista) ferito sotto casa da quattro colpi di pistola nel marzo del 2012 e morto dopo diciannove mesi di coma.
Il risvolto è trapelato oggi all'inizio del processo d'appello durante la relazione del presidente della Corte, Fabrizio Pasi.
Furchì, definito nelle carte dell'inchiesta un "faccendiere rancoroso e vendicativo", è stato condannato in primo grado al carcere a vita: la tesi, supportata da un'imponente indagine della polizia, è che abbia sparato perché l'integerrimo Musy non assecondava i suoi maneggi e le sue velleità politiche. Ma la procura vuole ancora di più: quell'isolamento diurno che i giudici avevano negato, visto che per il reato 'satellite', il porto illegale dell'arma, avevano conteggiato una pena (teorica) di quattro anni. Nell'atto di appello, la procura subalpina afferma che è troppo poco: "Il fatto è grave e la pistola proviene sicuramente da ambienti criminali".
L'imputato, che si è sempre professato innocente, non ci sta.
Oggi in aula ha chiesto la parola, si è alzato e, stretto fra due agenti della polizia penitenziaria (è detenuto a Biella) si è lanciato in una lunga e veemente autodifesa. "Sono stato condannato senza uno straccio di prova. Si insiste sul fatto che sono calabrese, che è come se io dicessi che tutti i piemontesi sono come il bandito Cavallero che rapinava banche. Si insiste sull'idea che io abbia maltrattato mia moglie e mia figlia: forse come padre ho fatto degli errori, ma ci si dimentica che da quei reati sono stato assolto".
Il duello fra accusa e difesa ruota attorno alla richiesta di una perizia superpartes: gli avvocati vogliono un esame antropometrico per smentire che Furchì sia "l'uomo con il casco", l'attentatore mascherato ripreso dalle telecamere del centro di Torino il giorno dell'agguato. Il procuratore generale Marcello Maddalena (in uno dei suoi ultimi processi prima della pensione) ha detto no: in primo grado c'è già stato un confronto fra consulenti e ne erano usciti vittoriosi quelli dell'accusa.
L'avvocato di parte civile Gian Paolo Zancan è velenoso: "Come mai durante le indagini Furchì ha fatto il possibile per sottrarsi alle misurazioni su corporatura, fattezze e andatura?". E Furchì protesta, attaccando tutto e tutti: "La perizia è un mio diritto. Io non sono quell'uomo, io cammino in modo diverso. Io rispetto le istituzioni, ma credo che un'istituzione corretta deve cercare e valutare bene tutte le prove. Questo è un processo per omicidio, non per un furtarello.
E voi non potete condannarmi solo per un filmato". La Corte si è aggiornata al 17 novembre.
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