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09 Luglio 2015 - 11:18
Sergio Chiamparino
Il mondo politico piemontese ha il fiato sospeso: domani il destino della giunta regionale guidata da Sergio Chiamparino tornerà nelle mani dei giudici del Tar. Ed è la seconda volta per l'esecutivo piemontese, in un anno e mezzo. Nel gennaio del 2014 i magistrati amministrativi decretarono la caduta del leghista Roberto Cota per un pasticcio nella formalizzazione delle candidature di una delle forze alleate, i "Pensionati per Cota".
In questa nuova occasione si tratta di presunte irregolarità nella raccolta delle firme di tre liste a sostegno di Chiamparino (due sono targate Pd, mentre la terza è il cosiddetto "listino" maggioritario regionale). Quella di domani potrebbe essere solo un'udienza interlocutoria. I giudici, nella "sentenza parziale" depositata lo scorso febbraio, hanno scritto a chiare lettere che non potevano procedere prima della conclusione dell'inchiesta penale della procura di Torino: e l'inchiesta non è ancora terminata. Finora ci sono tredici indagati tra funzionari del Pd ed esponenti politici locali dei democrats e di Sel. Sta emergendo un pasticcio, fatto di moduli compilati male e di firme lasciate da chissà chi, provocato dal caos scoppiato nel Pd a causa di alcune candidature. E' anche vero, comunque, che il Tar ha ricevuto dai pubblici ministeri una quantità di documenti e che non ha bisogno di sapere chi verrà rinviato a giudizio e per quale reato. "Personalmente - spiega l'avvocato Alberto Alessandro Caretta, autore dei ricorsi elettorali per conto della 'pasionaria' leghista Patrizia Borgarello - ritengo che il materiale sia sufficiente quanto meno per decidere sull'ammissibilità del 'listino'. Con tutto quel che ne consegue".
Chiamparino, del tutto estraneo all'indagine penale, ha detto più volte che non intende tollerare lungaggini: "Farò l'esatto contrario di Cota, che nonostante il procedimento giudiziario è andato avanti per quattro anni lasciando il Piemonte nell'incertezza. Di fronte a una qualsiasi pronuncia che getti un'ombra sulla legittimità formale della mia candidatura agirò di conseguenza".
Quasi tutta la partita si gioca sul "listino" del presidente.
Ed è una questione di numeri. L'avvocato Caretta afferma di avere rilevato 984 firme "false" o "irregolari". Sufficienti, spiega, per annullare la lista. Di parere opposto la squadra legale capitanata dal professor Vittorio Barosio: il "listino" ha raccolto 2.292 firme e quelle che in teoria si possono contestare sono al massimo 442. Fatta la sottrazione ne restano 1.850, che sono cento in più di quelle che ne servivano (1.750).
In termine tecnico questi calcoli costituiscono la "prova di resistenza" su cui lo staff di Chiamparino punta molte delle sue carte. Un altro scenario possibile è quello della "querela di falso": i giudici permettono a Caretta di avviare un apposito procedimento che certifichi la falsità delle sottoscrizioni.
Però vorrebbe dire un rinvio a medio-lungo raggio. Che Chiamparino potrebbe non accettare.
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