Cinquanta attacchi al cantiere del Tav a Chiomonte, settanta attentati grandi e piccoli alle aziende che vi lavorano, blocchi stradali, aggressioni. E' un bollettino di guerra quello che Giuseppe Petronzi, dirigente della Digos di Torino, snocciola nel corso del processo a Erri De Luca. Ma lo scrittore, imputato di istigazione a delinquere per avere difeso la pratica dei sabotaggi in un paio di interviste, non ci sta: esce dall'aula e dichiara che "non c'è nessuna relazione fra le mie parole e quello che è successo in Valle di Susa o altrove, l'accusa insiste nella propria inconsistenza". Il dibattimento si svolge in un'aula del tribunale stipata di giornalisti italiani e stranieri (in Francia lo scrittore è molto conosciuto), di attivisti No Tav e di ammiratori di De Luca che espongono il suo ultimo libro come una bandiera. I pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, insieme all'avvocato Alberto Mittone, parte civile per la ex-Ltf, la società capofila dei lavori, disegnano il contesto in cui De Luca, ai primi di settembre del 2013, rilasciò le frasi incriminate ("è giusto sabotare il Tav"). Qualche mese prima c'era stato un "cambio di passo" dell'ala No Tav radicale e gli "attacchi si erano fatti più violenti e organizzati". Quando De Luca era stato intervistato, due attivisti erano appena stati arrestati perché viaggiavano su un'auto stracarica di materiale utile per la guerriglia. E nel giro di pochi giorni, fra il 9 e il 22 settembre, si contarono tre attentati incendiari alle ditte impegnate nel cantiere. L'avvocato difensore, Gianluca Vitale, chiede a Petronzi se sono state fatte indagini, e il dirigente risponde che gli episodi sono tutti o quasi riconducibili a personaggi che gravitano nell'orbita No Tav. Poi però precisa che "non è stato trovato nessun riferimento diretto a De Luca". E' questo il nodo del processo: quanto hanno pesato le parole dello scrittore? L'avvocato Mittone ritiene che non è necessario dimostrare che qualcuno si sia ispirato a lui: basta che il suo intervento abbia influenzato il dibattito provocando un "cambio di strategia". In ogni caso gli anni fra il 2011 e il 2014 furono assai difficili per tutti. Maurizio Bufalini, ex dg di Ltf, ricorda che "abbiamo speso 20 milioni in sicurezza e io stesso, da quando ho ricevuto minacce di morte da una misteriosa sigla terroristica, giro con la scorta". Petronzi, nel sottolineare che il movimento No Tav "ha una base popolare ma vi partecipano elementi autonomi e anarchici", afferma che gli oppositori della Torino-Lione hanno "diversificato la strategia": gli attacchi si sono spostati fuori dalla Valle. Si è verificata anche una profonda frattura tra i valsusini e le frange anarchiche più radicali: se ne trovano le tracce su siti di area come "Finimondo" (mai tenero con De Luca), dove è persino comparso un articolo in cui al movimento No Tav è stato indirizzato "tutto il disprezzo che si meritano gli infami".
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