Diventano definitive le prime condanne per le infiltrazioni della 'ndrangheta nel Torinese. La Cassazione ha respinto la richiesta della Procura generale, che aveva chiesto un nuovo processo, e ha confermato la condanna dei primi 50 imputati del processo 'Minotauro'. Una sentenza storica, che oltre a confermare l'impianto accusatorio della Procura di Torino, certifica - per la prima volta - l'esistenza della 'Ndrangheta in provincia di Torino. Non una presenza sporadica, ma una vera e propria organizzazione, articolata in otto locali, con ramificazioni in numerosi settori. La sentenza della corte presieduta da Antonio Esposito, attesissima perché da essa dipenderanno tutti gli altri processi in corso per 'ndrangheta in Piemonte, è arrivata dopo 24 giorni di riflessione - i giudici avevano deciso di aggiornare la data della sentenza lo scorso 30 gennaio, dopo la richiesta del pg - e otto ore di camera di consiglio. Riguarda gli imputati che si erano avvalsi del rito abbreviato e che erano stati condannati in appello. Tra questi il boss della zona del Canavese, Bruno Iaria, che dovrà scontare 13 anni di reclusione. Soltanto qualche giorno fa, chiamato a testimoniare in aula a Torino dalle difese nel processo di coloro che hanno scelto il dibattimento, aveva detto di non sapere che cosa fosse un 'locale' di 'ndrangheta. "Gli unici locali che conosco - aveva sostenuto - sono i bar, le discoteche, i night club...". L'inchiesta Minotauro è stata la più articolata condotta dalla procura di Torino e dai carabinieri sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta al Nord. Cinque anni di controlli, intercettazioni e altre attività investigative sfociati, nel giugno 2011, in 150 arresti. In un solo caso, quello dell'ex sindaco di Leinì Nevio Coral - la cui condanna a dieci anni è ora al vaglio della Corte d'appello di Torino -, era stata accertata anche l'appartenenza all'organizzazione di esponenti politici. In altri casi erano emersi soltanto contatti di politici, risultati poi sempre avvenuti in buonafede, con esponenti delle cosche. Oltre al Comune di Leinì, era stato sciolto per infiltrazioni mafiose anche il quello di Rivarolo Canavese, anche se in questo caso non erano stati riscontrati profili penali nel comportamento degli amministratori.
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