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20 Novembre 2014 - 16:50
Un processo che non s'aveva da fare. Un processo "arbitrario". Anche questo aveva sostenuto la difesa di Stephan Schmidheiny, l'imprenditore svizzero imputato per il disastro ambientale dell'Eternit, alla vigilia del giudizio della Cassazione. Parole che l'entourage del magnate elvetico ha ripreso subito dopo la sentenza: "violati i principi di legalità e di giusto processo, ora ci si aspetta che lo Stato italiano protegga Schmidheiny da ulteriori procedimenti ingiustificati".
Erano stati due principi del Foro, due eminenti studiosi del diritto come i professori Franco Coppi e Astolfo Di Amato, ad includere queste argomentazioni nei "motivi aggiunti" nel ricorso alla Suprema Corte contro la condanna a 18 anni di carcere del loro assistito. Il maxi processo, fino al momento in cui non è approdato a Roma, "era stato caratterizzato - spiegarono - da una enorme pressione sul piano politico, sociale e mediatico volta a far coincidere l'esigenza di giustizia con la condanna dell'imputato".
Persino le autorità di governo, sottolinea la difesa del magnate svizzero, erano scese in campo. Accadde, per esempio, nel 2011, quando l'allora ministro della salute, Renato Balduzzi, invitò il Comune di Casale Monferrato a respingere l'offerta di un indennizzo presentata dalla Eternit: soldi in cambio del ritiro della costituzione di parte civile. L'effetto, scrissero i due professori, fu "un evidente condizionamento dei giudici", che si arresero a "valutazioni preconcette". Un passaggio, per gli avvocati, lo dimostra. Al processo d'appello, durante la relazione introduttiva, il presidente Alberto Oggè paragonò la condotta dell'Eternit a quella dei nazisti che organizzarono "la soluzione finale" per gli ebrei. Nel 1942 i gerarchi si riunirono a Wannsee e, nei verbali dell'incontro, non lasciarono tracce dei progetti di sterminio "per evitare di allarmare la popolazione". E alla Eternit, nel 1976, decisero di minimizzare i rischi dell'amianto per lo stesso motivo. Un parallelo che secondo gli avvocati è "oltraggioso".
Ma non solo. Se la questione Eternit è stata trattata solo dai tribunali, e quindi a colpi di cavilli e di eccezioni spesso di difficile e ondivaga lettura, è anche per l'atteggiamento dell'Italia. "Il procedimento - hanno affermato Coppi e Di Amato - ha costituito lo sbocco processuale di una vera e propria tragedia che ha coinvolto migliaia di lavoratori e, a Casale Monferrato, un gran numero di residenti". Anche in altre parti del mondo si maneggiava l'amianto. "Ma i termini della tragedia - si legge - si sono accentuati in relazione alla circostanza che l'Italia, fra i Paesi più progrediti, è l'unico che non ha ritenuto di creare appositi fondi per l'amianto. Questo non può non avere influito sul fatto che l'Italia è l'unico Paese in cui la tragedia dell'amianto è trattata prevalentemente in sede penale".
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