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IVREA. Cavalli e terre Canavesane

IVREA. Cavalli e terre Canavesane

Pietro Ramella

Presenterà la sua ultima fatica il prossimo martedì 7 luglio, al termine degli appuntamenti di San Savino: uno studio dedicato a “Uomo e natura in Canavese” rappresenta per Pietro Ramella la continuazione di un lavoro certosino e appassionato di ricerca nei documenti della storia locale. In prima fila negli anni 90 nell’allora Consorzio per l’organizzazione dello Storico carnevale di Ivrea, ma al tempo stesso studioso del territorio dai tempi più antichi ai periodi più recenti, Ramella è stato anche fra gli artefici della riapertura al pubblico del Castello di Ivrea e si è dedicato a raccolte puntigliose di testimonianze e dati sulla vita delle popolazioni rurali e cittadine del Canavese. Nel suo libro dedicato a “Napoleone e al tempo francese in Ivrea e Canavese”, pubblicato nel gennaio del 2000, Ramella racconta della presenza dei cavalli nelle cascine piemontesi e canavesane di fine 700 e spiega che fra i salariati fissi che vi lavoravano, con contratto a partire dal giorno di San Martino, vi erano, insieme ai casari(addetti a latte e formaggi) , ai boari (per la cura dei buoi),ai porcari, anche i cavallanti, che seguivano i cavalli.
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La stazione di posta di Ivrea, nel 1802 poteva contare su tre postiglioni e 8 cavalli. I Francesi potenziarono i collegamenti fra Torino e Parigi, con 4 carrozze a due cavalli che percorrevano il tragitto in 12 giorni e mezzo. I servizi di posta vennero riorganizzati per volontà napoleonica in modo assai diffuso anche se era polemicamente diffuso il detto popolare sulla superbia transalpina :”I Franseis a caval e noi a pè”, I Francesi a cavallo e noi a piedi. Secondo la Statistica Generale del Piemonte, ne l 1750, quando ancora Napoleone è lontano, in quella che viene chiamata la Provincia di Ivrea, si allevano 4.748 buoi, 16.839 vacche da latte, 1510 manzi, 29.745 capre e pecore,530 cavalli, 804 muli e 2103 asini: teniamo conto che buoi e asini rappresentano ausili indispensabili nel trasporto e nella cura della terra, mentre il cavallo è animale più pregiato e costoso! Dalle nostre parti, comunque, il cavallo era già utilizzato all’inizio dell’Età del ferro, come testimoniano le descrizioni di un tumulo tombale risalente a quell’ epoca protostorica, ritrovato presso Perosa Canavese, proprio alle porte di Ivrea. Correva l’anno del Signore 1796 e lo studioso Giovanni Benvenuti ci descrive questa tomba, di cui nulla è giunto fino a noi se non testimonianza scritta, all’interno della quale si trovava un bacile di rame con coperchio dentro il quale si distinguevano le ceneri di quello che era presumibilmente un uomo di potere, forse una sorta di “principe” per quelle piccole comunità , in quanto portava, citiamo testualmente ”l’armatura intiera del guerriero ivi sepolto con l’asta e l’armatura del suo cavallo.” Conoscevano e utilizzavano il cavallo sia i Celti che i Longobardi, ma i Romani organizzarono nel modo più completo una rete di spostamenti basata sui cavalli. Ivrea, allora Eporedia, era una delle stazioni di sosta e cura dei cavalli nota a tutti, anche a Plinio, che spiega così le origini del nome antico della città:”Eporedias Galli bonos equorum domitores vocant”, ovvero “I Galli definiscono gli Eporediesi validi domatori di cavalli”. Altri studiosi invece ritengono Eporedia non solo una stazione di posta per la sosta e il cambio dei cavalli su una via di transito verso le Gallie, ma anche un vero e proprio “conciliabulum” dove si ritrovavano le popolazioni locali in alcuni periodi dell’anno per partecipare a mercati e gare. L’ipotesi, assai suggestiva, è ripresa anche da Marco Cima, altro studioso di storia canavesana acuto e attentissimo, nel suo libro “L’uomo antico in Canavese” dove conclude: ”Forse, non a caso ancora oggi per la festa patronale si tiene a Ivrea la Fiera di San Savino con il più importante mercato di cavalli dell’Italia nord occidentale."
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