E’ davvero singolare e curiosa la storia di San Savino e di come sulla sua vita e persona raccolsero notizie sia il Canonico Massini, autore di un grande volume di “Vite di Santi” nel 1763, sia soprattutto il Canonico Don Giampietro Enrietti che, dapprima in forma anonima, raccolse in una dotta pubblicazione il racconto di ben 12 racconti agiografici. L’opera venne pubblicata come curata da autore Anonimo per iniziativa dell’editore Benvenuti nel 1823 e solo successivamente i nipoti del Prelato ne rivelarono poi con orgoglio l’artefice, proprio nella persona del loro zio: in essa si chiariscono alcuni punti oscuri relativi all’arrivo del Martire Savino da Spoleto a Ivrea. Correva l’anno del Signore 956, contrassegnato, come tutto il X secolo, da guerre, miseria e sangue, quando Corrado, discendente di Berengario I entrò nel “castrum” di Yporegia con l’urna delle ceneri del beato Savino, vescovo di Spoleto, morto in carcere per le percosse nel 300 dopo Cristo, dopo aver lungamente sofferto perché le torture dei suoi carcerieri gli avevano provocato l’amputazione delle braccia. Questo l’epilogo di una vicenda che inizia quasi 7 secoli prima. Si narra infatti che Savino, originario di un non meglio specificato territorio romano ai confini fra Toscana e Umbria, uomo appunto assai saggio e molto amato dalla comunità cristiana umbra di Spoleto, fosse stato incarcerato una prima volta per ordine imperiale e quindi torturato e privato delle braccia che una pia vedova, di nome Serena, raccolse pietosamente in un telo, scoprendo poi che la loro vicinanza aveva restituito la vista a un suo misero nipote soldato gravemente ferito in battaglia. Anche il carceriere di Savino, tal Venusiano, rimase colpito dal coraggio e dal carisma di quell’uomo e finì per convertirsi. Scoperto tuttavia dagli altri addetti del carcere, venne a sua volta ucciso, mentre Savino veniva nuovamente percosso fino a provocarne la morte. Toccò ancora a Serena la pietosa cura delle sue spoglie, alle quali fu data sepoltura su di un’altura al cui culmine, circa tre secoli dopo, nel 600, sorse una grande costruzione da cui ebbe poi sviluppo il grandioso Duomo di Spoleto. Quando, alla fine dell’ottavo secolo, il generale longobardo Ariulfo giunse da queste parti, fu incuriosito dalla grande costruzione che sovrastava la tomba di quel piccolo martire e volle visitarla. Rimase tuttavia impietrito e cadde in ginocchio allorchè nell’immagine affrescata di San Savino riconobbe proprio l’uomo che lo aveva affiancato valorosamente e attivamente nella battaglia per la conquista di Spoleto. E arriviamo così all’Anno del Signore 950, quando Guido da Spoleto chiede ai feudatari del Nord Ovest di garantirgli il controllo delle principali vie di comunicazione settentrionali, imponendo al governo della importantissima Marca di Ivrea il suo fedele Anscario, inviso ai Berengarici, da cui invece discenderà poi lo steso Arduino. Le prepotenze di Anscario provocano tensione in una Yporegia che è diventata una città fortificata potente, un “castrum, appunto, che ancora può contare sia sui giacimenti auriferi, le “aurifodinae “ di epoca romana, sia sulla lavorazione del ferro estratto nei giacimenti della vicina Valchiusella e molto richiesto per la fabbricazione rudimentale di armi. Eporedia era stata una “civitas” alquanto potente anche nel periodo della Roma repubblicana, allora controllata dalla “gens Pollia” che aveva iniziato le attività estrattive che diedero al territorio prosperità e sviluppo, tanto da arrivare alla costruzione di un notevole anfiteatro. Questo per evidenziare l’importanza strategica ed economica dell’antica Ivrea, centralità che sopravvive in età medievale in quanto essa, alla decadenza dell’Impero romano, diventa una “Marca”, un territorio di confine, assai contesa. Poco prima dell’anno Mille gli Anscarici, che controllano la comunità eporediese ei territori circostanti, subiscono dalle famiglie rivali una dura sconfitta a Spoleto, dove Guido viene umiliato proprio da Corrado, erede di Berengario I il quale, a sottolineare la sua vittoria, ritiene di dover traslare le spoglie del Santo Savino sepolto nel Duomo, che troveranno poi ospitalità nella Cattedrale fatta erigere all’inizio el nuovo millennio da Warmondo, Vescovo di Ivrea. Da quell’inverno freddo e combattuto del 956 il Santo protegge la città, dove un’epidemia di peste, testimoni i cronisti, viene bloccata proprio pochi giorni dopo l’arrivo dei suoi venerati resti. Così, un uomo che non era mai stato in quei luoghi lungo il corso della Dora Baltea, ne diventa l’amatissimo Santo protettore e dal 1090 ogni anno le sue ceneri vengono venerate nel corso di una solenne processione. In quell’anno in effetti Guiberto, fratello di Arduino, prende possesso della città e di un territorio vasto denominato Curtis Canava assumendo il titolo di Conti del Canavese, dividendo di fatto il potere con l’altra famiglia dei Conti di Masino, Valperga e San Martino: tutti piccoli feudatari locali che poi si legheranno ai Savoia attraverso alleanze e matrimoni.
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