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06 Ottobre 2017 - 10:39
Questo mondo, questa natura si è sempre manifestata per quello che diviene una realtà quotidiana: un luogo magnifico e pericoloso, seducente ma burrascoso, pieno di meravigliose occasioni come di trappole mortali.
Quando la tragedia colpisce un giovane pensiamo che sia un atto ingiusto, un fatto innaturale. Anche se per secoli questa continua perdita di giovani vite è stata percepita solo come dolore privato o addirittura come destino voluto da una divinità o entità superiore, nessuna lingua, nessuna cultura, nessuna religione ha potuto o voluto definirla con precisione, con parole appropriate.
Se muore un marito/moglie si diventa vedovi, se muore un genitore diventiamo orfani, ma se muore un figlio chi siamo? In termini matematici in tutti questi secoli non abbiamo ancora trovato la definizione dell’inverso di orfano.
Eppure quando accadono fatti meravigliosi si trovano parole eclatanti, si fanno opere d’arte (pittura/scultura), si scrivono inni o si costruiscono tempi o monumenti per glorificarne la memoria. Quando muore il figlio, soprattutto se figlio unico, non si apre un minimo livello di comunicazione, di sensibilizzazione civica. Tutto rimane rinchiuso nel dolore e nello sconforto privato-familiare.
Quando le religioni si sono trovate a spiegare fatti eccezionali, innaturali non percepiti dalla sensibilità quotidiana hanno ricorso a “trucchi” linguistici: la chiesa cattolica per spiegare la verginità di Maria, la resurrezione di Cristo o la Madonna di Lourdes è ricorsa al miracolo, l’induismo ha affrontato i secolari aspetti paradossali della loro realtà aggirando con un linguaggio mitico, inventando appositi dei minori per fotografare la singola situazione, il Buddismo e il Taoismo sono ricorsi al paradosso esaltando le contraddizioni con uno stile linguistico sconcertante e apparentemente illogico, proprio per uscire dal pensiero razionale. Nelle discussioni con i rabbini della sinagoga di Amsterdam nel 1656, Baruch Spinoza chiedeva : perché se Dio è buono accetta la morte di un giovane? Perché se Dio è buono consente che un’onesta e devota famiglia abbia un dolore così profondo?
Spinoza non ebbe risposte, ma la scomunica.
Recentemente il grande scrittore israeliano David Grossman ha affrontato questo tema: egli, pur essendo un pacifista e sempre impegnato nel dialogo Israele-Palestina, ha dovuto accettare la partenza del figlio per la leva obbligatoria e subire la sua morte in quella assurda guerra. Ha studiato e recuperato dall’antico ebraico un’espressione per definire la sua e la nostra condizione: caduti fuori dal tempo Il figlio morto è caduto ed è fuori dal tempo. I genitori sono caduti in un mondo che non ha più tempo, né aspettative , né futuro . Non c’è più senso della vita.
“che ci faccio io qui in questo momento?” “che senso ha fare le vacanze?” “ posso avere il sentimento della gioia dopo questo lutto tremendo?”
Quando leggiamo i giornali o guardiamo i notiziari, constatiamo che ancor oggi in Africa muoiono milioni di giovani per fame o per guerre tribali; nel Mediterraneo continuano ad annegare migliaia di giovani in cerca di libertà, sopravvivenza e dignità umana.Negli ospedali nel mondo seguitano amorire dei giovani per malattie i cui rimedi noi adulti non abbiamo potuto o voluto ricercare; nelle recenti guerre quanti giovani vittime sono morte per la decisione di vecchi?
Fino a poco tempo fa tutta questa perdita di giovani vite era considerata accetabile, quasi naturale: lo è tuttora ora per il continente africano e per i paesi di estrema povertà. Per la cultura occidentale invece due sono stati i punti di criticità, d’inversione del sentimento comune e quindi di cambiamento culturale.
Per noi europei il momento di svolta è stata soprattutto la seconda guerra mondiale che con i suoi 68 milioni di morti ( in Europa ben 41.713.00) ha letteralmente distrutto i miti dell’orgoglio nazionale, dell’eroismo cieco, dell’onore per la morte sul campo di battaglia Per gli Stati Uniti d’America c’è stato più recentemente il Vietnam con circa 60.000 giovani morti e oltre 300.000 feriti per una guerra insulsa e infame.
Eppure dobbiamo trovare una parola giusta, una definizione appropriata per la nostra condizione in modo da poter poi onorare la memoria e diffondere il ricordo collettivo. Altrimenti rimarremo come tutti i nostri amici , che al funerale di Federico, hanno detto: “sono senza parole”
Anche questo discorso sarebbe, è senza parole.
Per fortuna, l’umanità non comunica solo a parole, ma anche con manufatti e opere, come la scultura, la musica, la poesia: un’opera d’arte che costituisca il segno permanente del ricordo. Per poter poi iniziare forse quel percorso che, ancora Grossman ci indica, possa far sì che riusciamo a separare il dolore dai ricordi.
Questo parco, voluto dalla famiglia Saracino e dal Comune di Settimo Torinese, possa diventare un posto per il ricordo di giovani morti prematuramente e per un tentativo per noi vecchi di non essere più caduti fuori dal tempo, in pace con noi stessi e con il mondo.
Franco Mighetto
Settimo T.se, 24 settembre '17
Sono le parole di un papà che ha perso il suo unico figlio Federico, in un incidente in montagna. A quel figlio, oggi, è stato intitolato uno dei 14 alberi piantumati al parco Castelverde di Settimo Torinese, in memoria delle studentesse decedute in Spagna , in un terribile incidente stradale. In quella tragedia, perse la vita la settimese Serena Saracino.
Aveva 22 anni.
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