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05 Luglio 2017 - 10:00
olivetti
All’inizio del maggio scorso, esattamente lunedì 8 maggio, nella cittadina di Pregnana posta poco prima di Milano e per tanti anni sede di un laboratorio di ricerca elettronico di eccellenza riconosciuto a livello mondiale nato per volontà della Olivetti sul finire degli anni 50 e caduto in abbandono una decina di anni fa dopo che anche la francese Bull si è ritirata, si è tenuto un interessante convegno organizzato dall’associazione Pozzo di Miele che è il sodalizio degli ex dipendenti Olivetti, General Electric, Honeywell, Bull, Compuprint (sito web www.pozzodimiele.it ) .
L’evento era assai composito ed articolato, intitolato “ E se domani” ed in cui si è ripercorsa la storia di buona parte dell’informatica italiana partendo proprio dai Laboratori Olivetti di Pregnana, passando per Caluso ed il Canavese e terminando facendo notare quanta miopia vi sia stata nel passato nel non difendere una eccellenza italiana a livello mondiale. Ricordiamo che il primo personal computer in assoluto costruito al mondo fu quello realizzato dal gruppo di ricercatori pisani nei laboratori di Pregnana.
Al di là delle occasioni mancate, degli aspetti tecnici, finanziari e commerciali qualche riflessione si impone. Riflessione stimolata dall’intervento del sindaco di Pregnana, Sergio Maestroni, che ha ricordato quanto il sito di Via Laboratori Olivetti abbia dato al territorio adiacente, ( basti pensare che negli anni 70 – 90 vi lavoravano oltre 600 persone tra tecnici, ingegneri e fisici) ma soprattutto dall’intervento del giovane assessore Fabio Degani che ha avuto il coraggio, parlando di quello che è lo stato attuale dell’ex grande laboratorio di ricerca, di usare la parola distruzione.
Distruzione, purtroppo è la parola più indicata, la stessa che viene in mente ogni volta che si passa in via Martiri d’Italia a Caluso, a Scarmagno nell’area adiacente il casello autostradale e in Ivrea tutta, luogo in cui la Olivetti nacque e si sviluppo. Realtà legate da un destino comune in cui non vi è stato l’happy end. Ho sempre pensato che se un marziano a bordo della sua navicella portatile sorvolasse queste zone ed avendo mezzi tecnologi superiori ai nostri che gli permettono di vedere come era la vita nel passato, confrontando la situazione attuale con il vigore ed il rigoglio che questi stabilimenti avevano, non potrebbe che dire : “ Ma qui è successo qualcosa, una catastrofe, un virus ha colpito le menti di queste persone”. Se solo per un istante noi pensiamo a come era l’ambiente di lavoro a Pregnana, a Caluso ed a Ivrea, a come il sapere e la way of life di coloro che vi lavoravano condizionavano in modo molto positivo anche la società esterna, ovvero la vita nelle cittadine ed i paesi in cui essi risiedevano, non possiamo non pensare che per alcuni aspetti Ivrea, Caluso e Pregnana non siano state aree la cui definizione più pregnante, senza tema di smentita, è quella di piccole Atene del ventesimo secolo.
Immediatamente dopo, con forza esce la domanda. “ Ma come è potuto succedere questo?”.
Proprio perché fortunatamente in molti ancora si danno da fare, e Pozzo di Miele è un gran bel esempio positivo e propositivo, io penso che sia un obbligo morale interrogarci su cosa è successo e magari se possibile prendere qualche contromisura, non dico per evitare che si ripeta ma per evitare di continuare a scivolare verso il basso.
Penso però che qualcosa possiamo iniziare a fare non è nemmeno troppo faticoso … oppure per alcuni lo è troppo.
Indubbiamente negli ultimi anni, tutti ma proprio tutti siamo stati preda facile della tecnologia, troppo. Troppo perché usata spesso in malo modo, la tecnologia e per fortuna che c’è, dovrebbe aiutare, portare sollievo sgravandoci da lavori ripetitivi e noiosi ma invece nell’uso quotidiano domestico se ne abusa e la si male usa. Ognuno di noi con il suo televisore da 999 canali e lo schermo grande come il parabrezza di un Tir, il proprio pc/tablet/smartphone pieno zeppo di app che tra un po’ occorrerà una app aggiuntiva per sapere a cosa servono le app installate, crede di essere interattivo con il mondo esterno ed invece non lo è per nulla. Una pia illusione.
Noi pensiamo di poter dire la nostra e condizionare gli eventi, magari quelli che succedono nell’altro capo del mondo semplicemente con un mi piace oppure lasciando un breve commento alle tante notizie che si trovano in rete fornite senza controllo alcuno. Se si riflette un attimo si capisce che questa cosa è senza senso ma è ben sollecitata da molti, perché più tempo si passa a metter mi piace meno lo si passa a dialogare per davvero con le persone in carne ed ossa. In ogni condominio succede che alla sera ondate di bit escano dai pc e viaggino in rete mentre nel contempo non si conosce nemmeno e non si sa cosa faccia ad esempio il consigliere comunale, che abita nel nostro palazzo. E a nessuno viene in mente di interrogarsi in merito. Ecco io penso che dobbiamo iniziare un nuovo rinascimento relazionale che poco a poco iniziando dalle persone a noi vicine ( di cui conosciamo il loro impegno pubblico, politico, culturale, sportivo etc. ) ci porti a conoscere il mondo esterno reale, conoscere le sue strutture e così via. Un po’ come negli anni 60 in cui vi erano e venivano frequentate le sezioni di partito, i consigli pastorali parrocchiali e cosi via. Solo iniziando dal basso si potrà avere una società per davvero dialogante. Come sempre è l’uso che si fa di un oggetto, di una invenzione di una scoperta che lo contraddistingue come positivo o negativo. Ben venga quindi il progresso tecnologico accompagnato però da un uso consapevole da parte degli utenti.
Lo penso con molta convinzione e credo non vi siano altre alternative. Continuare sulla strada del virtuale avvicinerà soltanto la data in cui i peggior incubi immaginati da grandi registi e scrittori di fantascienza ( Ridley Scott – Blade runner, Jack Vance - Per chi lavoriamo ) non saranno più immaginazione ma realtà quotidiana.
Beppe Mila
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