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CRESCENTINO. D’Aversa, primo crescentinese in Antartide

CRESCENTINO. D’Aversa, primo crescentinese in Antartide

Antonio D’Aversa con Alberto Della Rovere e il sindaco Greppi

Venerdì 1° giugno si è tenuto, presso il Teatrino Comunale, l’incontro con Antonio D’Aversa, il primo crescentinese ad essere stato in Antartide.

La storia di Antonio inizia nel 2002 quando viene assunto dall’Enea di Saluggia e, passato poco tempo dal suo ingresso lì, viene a conoscenza dell’opportunità di partire per le spedizioni in Antartide, per cui presenta domanda. Nel 2014 arriva la risposta e in seguito a test medici e psicologici inizia il suo percorso di formazione: un primo step caratterizzato da corsi di base di primo soccorso e di sopravvivenza e una seconda fase sul Monte Bianco per testare la capacità dei candidati di poter resistere a condizioni di vita poco agevoli, una sorta di panoramica su ciò che sarà la vita in Antartide. È l’ospite presente con Antonio - Alberto Della Rovere - a spiegare cosa contraddistingue la vita di chi decide di partire per l’Antartide. Della Rovere, infatti, oggi capo spedizione, partì per la prima volta nel 1990 per risolvere un problema informatico e da allora, dice, «non mi sono più fermato»; effettivamente in ventotto anni è riuscito a partire per ben venticinque volte, di cui le prime diciotto ogni anno, ininterrottamente. È lui ad illustrare al pubblico crescentinese le attività che si svolgono in Antartide, in particolare presso i punti di ricerca italiani: carotaggio per le ricerche sui cambiamenti climatici, raccolta di meteoriti, ricerche biologiche, geologiche e glaciologiche. E anche se la veste di Antonio D’Aversa è quella di colui che si occupa di logistica e non di ricerca, l’impatto che queste quattro spedizioni hanno avuto su di lui è notevole; nonostante le condizioni di vita estreme che le spedizioni richiedono (in un continente in cui, lo ricordiamo, la temperatura può sfiorare i meno 90 gradi e il vento può soffiare fino ai 300 km/h) è evidente che l’incontaminazione di questi luoghi non corrisponda ad una sterilità nel cuore di chi li vive. L’emozione e la partecipazione nei racconti sono infatti talmente sentiti da far intervenire un’uditrice che, ringraziando per gli interventi, dice «è stato come se ci avesse portato a casa sua, per mostrarci i suoi luoghi».

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