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Ivrea

Quella volta che Bettazzi si schierò con i migranti, scrisse al Premier Conte e lo insultarono sui social

Nel luglio del 2018 trovò il coraggio di dire tutto quello che pensava

Quella volta che Bettazzi si schierò con i migranti, scrisse al Premier Conte e lo insultarono sui social

Nel luglio del 2018 non passò inosservata la lettera di monsignor Luigi Bettazzi al premier Giuseppe Conte sul tema migranti. 

Il vescovo emerito di Ivrea, lo invitava  a non fare propaganda sulla chiusura dei porti, sottolineando il ruolo di generosa accoglienza che da sempre contraddistingue l’Italia.

Due minuti dopo la notizia, sui social si scatenò l’inferno...

E c’è chi lo inviata ad ospitare i profughi a casa sua, chi ad aprire le porte del Vaticano. Cos’altro aggiungere se non un “Vergogna”. 

Lo scrivemmo a caratteri cubitali “Vergogna!”. Perché non è che sui social si può dire tutto a tutti. In alcuni casi - e questo era un caso - bisognerebbe anche capire con chi si ha a che fare. 

Perché Bettazzi non era uno qualsiasi. Era qualcosa di diverso. 

Di spettacolare. Di profondo. Di genuino. 

Aveva un pensiero così profondo da sprofondarci dentro. 

Nato a Treviso nel 1923, vescovo a Ivrea dal 1966, fino all’altro giorno, era l’unica persona vivente ad aver preso parte al Concilio Vaticano II.  Dimessosi il 20 febbraio del 1999 per raggiunti limiti di età, conservando il titolo di vescovo emerito di Ivrea risiedeva nel Castello Vescovile di Albiano di Ivrea. 

Uomo di sinistra e pacifista, nel 1978, insieme al vescovo rosminiano Clemente Riva e al vescovo Alberto Ablondi, chiese alla Curia Vaticana di potersi offrire prigioniero in cambio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. 

La richiesta, tuttavia, venne fermamente respinta. 

Divenne poi celebre in tutta Italia per lo scambio di lettere con il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer. 

Celebre per le sue battaglie sull’obiezione fiscale alle spese militari  quando ancora si rischiava il carcere ed il dialogo con i non credenti era difficile. 

Nel 1992 partecipa alla marcia pacifista organizzata dai Beati costruttori di pace e Pax Christi insieme a Mons. Antonio Bello nel mezzo della guerra civile in Bosnia ed Erzegovina. 

Nel 2007 dichiara pubblicamente che la sua coscienza gli imponeva di disobbedire e che era favorevole al riconoscimento delle unioni civili, i DICO, sostenendo le iniziative del governo Prodi e riconoscendo alle coppie omosessuali un fondamento d’amore equiparato a quelle eterosessuali. Nell’aprile 2015 dichiara in un’intervista che, circa «l’omosessualità: la questione del sesso va studiata, emancipandosi dai neoplatonici che fanno coincidere sesso e decadenza dello spirito. Perché non espressione dello spirito umano? È noto che mi pronunciai in favore dei Dico, il riconoscimento delle unioni civili». 

Nel 1968 Bettazzi venne nominato presidente nazionale di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace e nel 1978 ne divenne presidente internazionale, fino al 1985 vincendo per i suoi meriti il Premio Internazionale dell’Unesco per l’Educazione alla Pace. 

Il suo nome viene citato da molte testate e notiziari televisivi per aver pronosticato la rinuncia di papa Benedetto XVI, circa un anno prima la sua ufficializzazione, avvenuta nel corso del concistoro ordinario dell’11 febbraio 2013. All’epoca, molti periodisti ed alti dignitari della Chiesa smentirono seccamente le dimissioni del pontefice. 

E per chi ancora non si fosse convinto. A testimonianza della profondità del pensiero di Bettazzi ci sono i suoi libri. 

• “L’anima della sinistra. Umanesimo, passioni e storia nel carteggio far un vescovo e il leader del Pci”, scambio di lettere con Enrico Berlinguer (2014, Eir) 

• Quale Chiesa? Quale Papa? (Emi, 2014) • La Chiesa dei poveri. Dal Concilio a papa Francesco (2014, Pazzini) 

• Anticlericali e clericali. Dal Risorgimento italiano alla non violenza (Edb 2006) 

• Difendere il Concilio (San Paolo Edizioni, 2008) 

• Povertà e servizio. Un amico per gli ultimi (Pazzini, 2003)

• Lettera di un vescovo nel giorno della cresima (1998 Quriniana) 

• Viva il Papa, viva il Popolo di Dio! Cicaleccio sul Concilio Vaticano !! (Edb, 2013) 

• Esseri ed essere. Cicaleccio per filosofi principianti ( Pazzini, 2004) 

• Giovani per la Pae (La Meridiana, 2004) 

• Apocalisse. Messaggio di speranza (Guaraldi, 2018)

• In dialogo con i lontani. Memorie e riflessioni di un vescovo un po’ laico (Alberti, 2008) 

• Chi crede in cristo sarà salvo (Cittadella, 2007) .... e molti altri ancora...

“Ci siamo resi conto che Lei, al recente vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce dell’Italia; ma siamo stati delusi dalla sordità della maggioranza dei rappresentanti dell’Europa (me lo lasci notare, anche delle nazioni tradizionalmente più ‘cristiane’) e dell’incapacità dell’insieme di mantenere le tradizioni ‘umane’ del nostro Continente e dell’ispirazione iniziale della sua unità”. 
Lo scriveva, con riferimento alla questione immigrati, il vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi, in una lettera aperta all’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Correva il luglio del 2018.
“Siamo”, aggiungeva il presule, “e parlo di tanti di cui ho colto il pensiero – altrettanto delusi che, nella difficoltà di ottenere consensi più ampi, l’Italia rimanga su posizioni di chiusura, forse (ma solo ‘forse’ se guardiamo al nostro passato coloniale o ci proiettiamo sul nostro futuro demografico) comprensibili sul piano della contrattazione, non su quello del riferimento a vite umane”.  
E ancora: “Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili”.  
“Vorremmo davvero – scriveva ancora Bettazzi che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia, che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere”.  
“Al di là di un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio ( ‘prima gli italiani’ – quali italiani? – o ‘prima l’umanità’?!), credo che, nell’interesse della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere – per sè e per tutta l’Europa – pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa”, la conclusione del presule. 

La lettera 
Scrivo questa lettera sul tema scottante degli immigrati (e la scrivo da un edificio diocesano che ne ospita). Lo faccio non come antica autorità religiosa al Presidente di un Governo “laico” (anche se un autorevole membro del Suo Governo ha sbandierato, sia pure in campagna elettorale, simboli apertamente religiosi, anzi cristiani, quindi compromettenti) soprattutto dopo i costanti, appassionati appelli di Papa Francesco e le autorevoli istanze dei responsabili della CEI. Lo faccio come cittadino dell’Italia che, nella Costituzione, garantisce il diritto d’asilo a quanti, nel loro paese, sono impediti di esercitare le libertà democratiche; lo faccio come cittadino dell’Europa che, nella Carta dei diritti fondamentali, afferma: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. Ci siamo resi conto che Lei, al recente vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce dell’Italia; ma siamo stati delusi dalla sordità della maggioranza dei rappresentanti dell’Europa (me lo lasci notare, anche delle nazioni tradizionalmente più “cristiane”) e dell’incapacità dell’insieme di mantenere le tradizioni “umane” del nostro Continente e dell’ispirazione iniziale della sua unità. Mi lasci dire che siamo – parlo di tanti di cui ho colto il pensiero – altrettanto delusi che, nella difficoltà di ottenere consensi più ampi, l’Italia rimanga su posizioni di chiusura, forse (ma solo “forse” se guardiamo al nostro passato coloniale o ci proiettiamo sul nostro futuro demografico) comprensibili sul piano della contrattazione, non su quello del riferimento a vite umane. Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili. Non ignoriamo che i problemi sono immensi, dai rapporti con Paesi che noi – Europa tutta – abbiamo contribuito a divenire ciò che essi spesso sono (costruttori di lager e tutori di brigantaggi), a quelli con i Paesi di partenza degli immigrati (con cui già i Governi precedenti avevano progettato iniziative, sempre fermate al livello di progetti).Vorremmo davvero che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia, che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere. Al di là di un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio ( “prima gli italiani” – quali italiani? – o “prima l’umanità”?!), credo che, nell’interesse della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere – per sé e per tutta l’Europa – pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa. Con ogni augurio e molta solidarietà. 

Albiano d’Ivrea, 

2 luglio 2018 

+ Luigi Bettazzi 

vescovo emerito di Ivrea

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