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26 Aprile 2016 - 20:28
Giovanni Bazoli
Nell'82 l'atto costitutivo del Nuovo Banco Ambrosiano. Nell'89 la fusione con la Banca Cattolica del Veneto. Nel '98 la nascita di Banca Intesa grazie al consolidamento tra l'Ambrosiano Veneto e la Cariplo di Giuseppe Guzzetti. Poi nel '99 l'incorporazione della Comit col placet di Enrico Cuccia e infine la fusione nel 2007 col Sanpaolo Imi di Torino. Il comune denominatore di tutte queste operazioni, che hanno dato vita alla più grande banca del Paese, è Giovanni Bazoli.
Dopo 34 anni dalla sua nomina a presidente dell'istituto sorto sulle ceneri del crac dell'Ambrosiano di Roberto Calvi, il professore bresciano, classe '32 e laurea in giurisprudenza, lascia il vertice di Intesa Sanpaolo. A succedergli è Gian Maria Gros-Pietro, mentre a lui, come stabilito dal nuovo statuto, andrà la carica, non retribuita, di presidente emerito. Un mandato di tre anni a garanzia della transizione della governance duale da lui architettata dopo la fusione con Torino al nuovo sistema monistico.
Un incarico che servirà non soltanto a promuovere le numerose iniziative culturali della banca, come già fatto in questi anni con la creazione delle Gallerie d'Italia in Piazza della Scala e il restauro dell'abitazione di Alessandro Manzoni; ma anche a fornire consigli al board guidato da Carlo Messina: Bazoli potrà infatti esprimere pareri e partecipare alle riunioni del consiglio, con funzione consultiva, su richiesta del presidente o del consigliere delegato.
Bazoli, che gli amici chiamano semplicemente 'Nanni', lascia quindi la poltrona di presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, consegnando in eredità la terza banca più grande d'Europa e la prima in Italia per capitalizzazione (oltre 41 miliardi) e per erogazione del credito. Insomma, un gigante al centro dell'economia del Paese con oltre 48 miliardi di euro di nuovi crediti erogati a medio-lungo nell'ultimo esercizio.
Negli ultimi anni, però, Bazoli è stato più volte accusato di "eccessivo attaccamento alla poltrona". Attacchi che sono arrivati non solo dai piccoli azionisti in assemblea ma anche dal 'nemico' Diego Della Valle, soprattutto sul fronte del partecipata Rcs, proprio mentre il premier Matteo Renzi aveva coniato negli scorsi anni il termine di 'rottamatore'. Ma lui a questi attacchi ha sempre risposto a viso aperto e proprio in occasione dell'ultima riunione dei soci aveva avuto modo di chiarire: "Sta per concludersi una lunga esperienza, ma anche una mia grande responsabilità nel sistema bancario italiano. Una delle ragioni che mi aveva spinto ad accettare questo compito era l'intento di dimostrare la capacità di agire ad alto livello nella finanza mostrando correttezza, per contribuire al recupero di fiducia nel Paese. Ritengo di averlo fatto".
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