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IVREA. Radiologa a processo per omicidio colposo

Sarebbe bastato eseguire qualche esame in più. Invece la diagnosi venne svolta di fretta, senza premurarsi delle pregresse condizioni di salute del paziente. E' quanto hanno riferito, in sostanza, i consulenti sentiti ieri mattina, presso il Tribunale di Ivrea, nell'ambito del processo che vede imputata, per omicidio colposo, Elis Prando, 40 anni, di Viverone, radiologa presso l’ospedale cittadino, difesa dall’avvocato Anna Ronfani. Secondo l'accusa, la sua "condotta negligente" avrebbe provocato la morte, avvenuta l'8 giugno del 2010, di Carmelo Cannatà, 83 anni, di Bollengo, per una microfrattura cervicale non tempestivamente e correttamente diagnosticata. L'uomo si era recato al Pronto Soccorso pochi giorni prima, il 1° giugno, in seguito a un incidente stradale avvenuto in corso Botta. Gli era stata individuata una frattura scomposta del manubrio sternale. Prando aveva eseguito i raggi x e la tomografia, poi aveva optato per le dimissioni. Ma l'anziano era caduto nel bagno della sua abitazione e nuovamente ricoverato. A questo punto era stata eseguita una risonanza magnetica scoprendo la frattura della settima vertebra cervicale e la compressione midollare. Ma, ormai, non c'era più nulla da fare. Ieri mattina, di fronte al giudice Ombretta Vanini, è stato sentito il consulente del pubblico ministero, lo specialista Giorgio Vinonzio, responsabile di neuroradiologia di Gallarate. Ha riferito che il paziente soffriva di spondilite anchilosante, significa che la sua spina dorsale era molto calcificata, tipico di una persona che soffre di osteoporosi. Il fatto di trovarsi di fronte ad un caso del genere, avrebbe dovuto indurre la radiologa ad analisi più accurate. C'erano comunque segni che avrebbero dovuto insospettire, come la divaricazione delle due apofisi. Quel che è certo è che si trattava di frattura di tipo instabile quindi andavano effettuati una tac ed un radiogramma flexoestensorio. Inoltre, secondo l'esperto, la prescrizione dell'ospedale di Ivrea di usare un collare era molto generica: si sarebbe dovuto usare un collare rigido in modo che non si potesse muovere. La consulente di parte civile Paola Piscozzi ha ribadito le stesso cose: "non fu preso – scrive nella sua relazione – alcun provvedimento terapeutico mirato a preservare l'integrità della colonna vertebrale cervicale, non fu richiesta una consulenza ortopedica né fu applicato il collare cervicacale". "I consulenti – sottolinea l'avvocato di parte civile Giacomo Vassia, che assiste la vedova e la figlia di Cannatà - hanno dimostrato la negligenza ed imperizia dell'imputata e quindi la tesi accusatoria".
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