Cerca

Gialli italiani

Quel corpo carbonizzato ritrovato nelle campagne di Strambino

Il caso di Manuela Petilli Marchelli rimane una delle pagine più buie della storia di Ivrea

Pietro Ballarin

Pietro Ballarin

Ivrea 2 agosto 1993. Nel pomeriggio arriva una notizia. Manuela Petilli Marchelli, una quattordicenne conosciuta per la sua dolcezza e il suo sorriso solare, scompare misteriosamente. 

Si ricostruiscono i suoi ultimi spostamenti. Come ogni giorno, Manuela si era avviata verso la stazione ferroviaria per incontrare alcuni amici, ma da quel momento in poi, di lei si erano perse completamente le tracce. La famiglia, allarmata dal suo ritardo, lancia subito l’allarme, dando il via a una ricerca disperata che coinvolge forze dell’ordine e decine di volontari.

Le prime ore non portano a nulla. Le giornate si susseguono in un’angoscia crescente, e la speranza di ritrovare Manuela viva si affievolisce con il passare del tempo.  

Manuela Petali Marchelli

Il 19 agosto, la tragica svolta. Il corpo di Manuela viene rinvenuto in un casolare abbandonato nelle campagne di Cerone, una frazione di Strambino, a pochi chilometri da Ivrea. 

Il cadavere è in uno stato tale che è impossibile stabilire con precisione l’ora della morte o le cause esatte. 

Il corpo è semi-carbonizzato e in avanzato stato di decomposizione, un dettaglio che aggiunge un ulteriore elemento di orrore a una vicenda già straziante. La notizia si diffonde rapidamente e non c’è uno a Ivrea che non si sconvolga dalla brutalità del crimine.

Le indagini, fin dal ritrovamento del corpo, si rivelano estremamente complesse. Gli investigatori si trovano a dover ricostruire i movimenti di Manuela e cercare di capire chi possa essere il responsabile di un atto così barbaro. 

Le prime ricostruzioni suggeriscono che la ragazza sia stata rapita nei pressi della stazione ferroviaria, portata nel casolare isolato e lì uccisa, con il corpo successivamente dato alle fiamme nel tentativo di cancellare le prove. Diversi sospetti vengono esaminati, tra cui il fidanzato di Manuela, che viene però rapidamente scagionato.

La svolta nelle indagini arriva con la testimonianza di una giovane donna, Barbara, che dichiara di aver visto un uomo avvicinarsi a Manuela nei pressi della stazione. Quest’uomo viene identificato come Pietro Ballarin, noto come “Ringo”, un nomade sinti di 27 anni con un passato criminale inquietante. Vive al campo nomadi del quartiere di San Givoanni e  ha già scontato una condanna per aver tentato di violentare e uccidere due bambini nel 1984, un crimine che lo ha reso un personaggio già noto alle forze dell’ordine.

Secondo la testimonianza di Barbara, Ballarin era avvicinato a Manuela su un motorino e le aveva offerto un passaggio. Nonostante le iniziali resistenze della ragazza, lui aveva insistito, e alla fine era riuscito a convincerla. Questo dettaglio si rivela cruciale per gli inquirenti, che arrestano Ballarin il 23 agosto 1993, solo pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo.

Durante gli interrogatori, Ballarin si dichiara innocente, negando ogni coinvolgimento nell’omicidio. Tuttavia, le prove circostanziali raccolte e le testimonianze a suo carico sembrano incriminarlo in modo sempre più stringente. Gli inquirenti sono convinti di aver trovato il colpevole, e il caso viene rinviato a giudizio. Il processo, iniziato nel 1994, attira l’attenzione dei media nazionali, che seguono con grande interesse ogni sviluppo, rendendo la vicenda un caso di cronaca nera di rilievo nazionale.

Il 12 gennaio 1995, dopo un processo carico di tensione e sofferenza, la corte d’Assise emette il suo verdetto: Pietro Ballarin viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di Manuela Petilli Marchelli, ma viene assolto dall’accusa di violenza sessuale, nonostante i sospetti. La sentenza viene accolta con un misto di sollievo e amarezza dalla famiglia della vittima, che vede in quella condanna un primo passo verso la giustizia, ma che sa che nulla potrà mai colmare il vuoto lasciato dalla perdita di Manuela.

Tutta Ivrea, profondamente colpita dalla vicenda, si stringe attorno ai familiari della giovane, commemorando la memoria di Manuela con cerimonie e momenti di raccoglimento. 

La sua storia diventa simbolo di un’innocenza spezzata, di una vita strappata via troppo presto e in modo crudele. Ma nonostante la condanna, la figura di Ballarin continua a gettare ombre oscure.

arresto ballarin

La fuga

Nel 2016, Ballarin, ormai cinquantenne, torna a far parlare di sé con una fuga clamorosa. L’uomo, a cui era stato concesso un permesso premio per partecipare a una messa in suffragio della sorella, sfrutta l’occasione per far perdere le sue tracce. 

La fuga, che avrebbe dovuto durare solo un’ora e mezza, si prolunga per undici giorni, gettando ancora una volta scompiglio nelle forze dell’ordine. 

Alla fine, Ballarin viene rintracciato a Milano, in una clinica dove si era recato lamentando dolori articolari inesistenti. 

Viene arrestato e riportato in carcere, ma il tentativo rende ancora più remota la possibilità che l’ergastolano possa ottenere in futuro la semilibertà, che già gli era stata negata diverse volte.

Il caso di Manuela Petilli Marchelli rimane una delle pagine più buie della storia di Ivrea, un dramma che continua a essere ricordato e che ha sollevato importanti questioni sulla giustizia, la sicurezza e la protezione dei minori. 

Manuela è ricordata come una giovane innocente, vittima di una violenza insensata, e la sua tragica fine continua a essere un monito sulla necessità di vigilanza e protezione in una società che deve tutelare i suoi membri più vulnerabili.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori