Fino a domenica sarà visitabile a Pont, nella sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso, la mostra “Il Gelso: albero dimenticato nel paesaggio agrario piemontese… e il suo legame con il baco da seta”. Si tratta di una mostra itinerante, voluta dalla Regione per illustrare i risultati di uno studio condotto dal Museo di Scienze Naturali di Torino, dall’Università e da Floralia. Ricostruisce la storia della coltivazione del gelso nella regione: ora residuale, un tempo florida. Pianta associata da sempre alla produzione della seta, il gelso è in realtà molto versatile nell’utilizzo: le foglie servono per l’allevamento dei bachi, i frutti sono more gustose dotate di spiccate proprietà antiossidanti; il legno serviva per delicati lavori d’intaglio. Oggi i gelsi sono quasi scomparsi dalle campagne piemontesi ma fino a metà del Novecento godettero di vasta diffusione: la loro coltivazione venne fortemente incentivata fin dai tempi di Emanuele Filiberto al fine di produrre seta di qualità, come dimostrano i “Disciplinari” emanati dai suoi successori, che stabilivano regole precise ed indicazioni minuziose per le caratteristiche del prodotto. A causa delle malattie che colpivano i bachi (studiate accuratamente già nel XIX secolo da studiosi di fama tra cui Louis Pasteur) e dell’arrivo in grandi quantità della seta giapponese, nella seconda metà del Novecente la coltura è stata abbandonata ovunque in Italia ed in Europa. Resta invece floridissima in paesi lontani, come il Tajikistan o il Pamir. La mostra – visitata sabato corso dal vicepresidente del Consiglio Regionale Nino Boeti, che ha trovato ad accoglierlo i presidenti di diverse società di mutuo soccorso – verrà chiusa domenica 14 dicembre. A LAVORAZIONE DELLA SETA. Non sono in molti a saperlo eppure c’è stato un tempo in cui a Pont si lavorava la seta e nei prati intorno al paese si estendevano i filari dei i gelsi per l’allevamento dei bachi. Lo hanno scoperto i responsabili della Società Operaia di Mutuo Soccorso negli archivi comunali. mentre si documentavano sulla materia, in attesa di ospitare nella propria sede la mostra “Il Gelso: albero dimenticato nel paesaggio agrario piemontese… e il suo legame con il baco da seta”. Ci fu un tempo in cui i gelsi erano diffusi nelle zone prative ai margini del paese, come i “Prati della Fiera” o la zona di Via Berchera. Le foglie venivano raccolte e portate in casa per allevare i bachi da cui poi si ricavava la seta; questa veniva filata e tessuta dalle donne che, con il ricavato, preparavano il corredo alle figlie. Sembra che queste donne fossero giunte dal comasco insieme ai mariti scalpellini portandosi dietro i segreti per la lavorazione del prezioso filato. Fino ai primi decenni dell’Ottocento fu attivo a Pont un setificio appartenente ai conti Faletti di Champigny, la cui residenza era nel palazzo poi diventato sede comunale. L’attività entro in crisi quando i Faletti vendettero lo stabilimento ai fratelli Duport, che possedevano un cotonificio in Savoia e che introdussero a Pont quella lavorazione. Tutta l’attività legata alla seta a quel punto entrò in crisi: anche i piccoli artigiani preferirono trasformarsi in dipendenti, facendosi assumere in Manifattura. L’allevamento dei bachi in quella che oggi è Via Berchera è anche all’origine dello strano nome di una borgata: località Partendù. Sembra infatti che i notabili residenti in quella zona, per sfuggire alle fetide esalazioni provocate dalla coltivazione dei bachi, si fossero trasferiti più in alto creando una borgata che venne soprannominata con questo nome, che significa appunto “sostenuti, pretenziosi”.
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