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Favria
26 Maggio 2023 - 20:46
Grandezza d’animo e pazienza: la fortezza.
Se c’è una virtù particolarmente preziosa nei tempi delle crisi, questa è la fortezza. È la capacità di continuare a vivere e resistere nelle lunghe e dure avversità. Una forza spirituale e morale alla quale le generazioni passate attribuivano un’enorme importanza, al punto di chiamarla virtù cardinale. La fortezza consente di non lasciarsi andare quando ci sarebbero tutte le condizioni per farlo. È la fortezza che ci fa resistere nella ricerca della giustizia in contesti corrotti; che ci fa continuare a pagare le tasse quando troppi non lo fanno; a rispettare gli altri quando non si è rispettati; a essere non violenti in ambienti violenti. Che ci mantiene temperanti anche quando siamo immersi nell’intemperanza, che ci fa resistere per anni in un posto di lavoro sbagliato, che ci fa restare in famiglie e comunità anche quando tutti e tutto, tranne la nostra anima, ci dicono di andarcene. Gli antichi Greci la chiamavano andreia, derivato da anaer, uomo, in quanto la fortezza una caratteristica propria dell’essere umano, chiamato a proteggere quanti sono affidati alla sua responsabilità. Singolare appare la ricca iconografia riguardate la fortezza con buona pace del termine greco il concetto di fortezza è sempre rappresentata come una donna. Protetta da corazza, scudo e, nella mano destra, una spada o una mazza ferrata, nell’atto di colpire. Così la dipinge Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. La fortezza secondo Omero è Achille, eroe greco per eccellenza ed esercita la sua fortezza non solo impiegando le sue energie fisiche, ma anche disprezzando, fino alla crudeltà, gli sconfitti. Secondo Virgilio la fortezza comincia a essere concepita come una virtù, con Enea che si mette al servizio della sicurezza dei suoi compagni. Passaggio reso ancora più evidente con l’approdo del termine andreia nella filosofia. Qui smette definitivamente di identificarsi col vigore fisico per presentarsi come la virtù tipica di chi assolve al proprio compito con coraggio, evitando due eccessi: la paura e la temerarietà. La persona forte, infatti, non è il vigliacco che si lascia paralizzare dalla paura, ma non è nemmeno il temerario che spinge sé e gli altri oltre ogni limite, fino all’azzardo. L’eccesso di audacia nell’affrontare le difficoltà porta ad essere precipitosi, imprudenti. Questa virtù con il termine greco andreia non è presente nelle Sacre Scritture, pur abbondando, queste, di figure forti e coraggiose, sia maschili sia femminili. Tra queste ultime, spicca la straordinaria storia di Giuditta. Nel libro che porta il suo nome, la sua fortezza è un misto di coraggio, audacia e uso intelligente della seduzione. È nel Nuovo Testamento che emerge, con chiarezza e in maniera definitiva, la differenza tra la concezione greca della fortezza e quella biblica. Questa, a seconda dei contesti, si presenta come forza, dynamis, franchezza, parresia, grandezza d’animo, macrothymia, e pazienza, hypomoné. La identificazione della fortezza anche con la pazienza rimanda a Socrate, per il quale il forte sa riconoscere il momento di ritirarsi per non soccombere. Per dire che la virtù della fortezza deve nutrirsi di realismo se non vuole diventare violenza, arbitrio o forza cieca. A differenza della forza fisica, la vera fortezza non si misura necessariamente in termini di successo.
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